La ribellione di Prigozhin è stata un colpo durissimo. Il consenso negli apparati è sempre minore. Il leader è in declino. Ne è sicuro l’ex premier russo, oggi oppositore in esilio

Da primo ministro di Vladimir Putin a leader del Partito della Libertà Popolare (Parnas), uno dei principali partiti di opposizione russo. È la parabola di Mikhail Kasyanov che è in esilio a Riga, in Lettonia, dopo aver lasciato la Russia nel marzo scorso: «Non volevo correre rischi, proteggere la mia famiglia e continuare a dire quello che penso, la verità. Putin punisce chi critica il regime, l’esercito e la guerra. Ora chi collabora in qualunque forma con un’organizzazione straniera può essere accusato di “alto tradimento” e condannato al carcere a vita».

 

In Russia non si sentiva al sicuro: «Negli ultimi dieci anni ho sentito che c’era una forte pressione su di me, ero seguito, nel mirino». Nel 2016 il leader ceceno Ramzan Kadyrov ha pubblicato un video sulla sua pagina Instagram in cui l’ex premier veniva ripreso dal teleobiettivo di un cecchino. «Pochi giorni dopo sono stato aggredito e minacciato in un ristorante a Mosca», continua Kasyanov che è stato primo ministro dal 2000 al 2004 quando Putin era al suo primo mandato.

 

La sua fame di potere ha cominciato a farsi chiara già quando, alla fine del febbraio del 2004, ha annunciato in diretta televisiva le dimissioni del governo del premier Kasyanov: «Stavo per concludere il mandato costituzionale di quattro anni, Putin aveva paura di perdere il potere e aveva già bloccato una riforma amministrativa con cui volevo ridurre il raggio di azione del governo. Voleva sempre più controllo e con il tempo ha cambiato tutta la sua politica».

 

In 23 anni di potere cominciano a vedersi le crepe: «È l’inizio della fine dell’era di Putin», continua Mikhail Kasyanov, «l’intero sistema non è più forte come prima» dopo l’ammutinamento guidato da Evgenij Prigozhin e dalla sua milizia Wagner del 24 giugno scorso.

 

«Prigozhin ha distrutto il mito e l’illusione della stabilità in Russia creato da Putin che ora è molto nervoso. Ha capito che i funzionari di governo non lo vedono più come un moderatore o un protettore dei loro interessi. Non è visto come un leader forte e capace ma come un uomo debole che non è stato in grado di proteggere due città russe di un milione di abitanti come Rostov sul Don e Voronež. E neanche Mosca, dove questo esercito illegale aveva iniziato a spostarsi», spiega Kasyanov che ha preso il posto alla guida del partito Parnas dell’oppositore Boris Nemtsov, ucciso il 24 febbraio del 2015 vicino al Cremlino.

 

«Putin era sconvolto dall’ammutinamento, la mattina aveva detto che bisognava arrestare quei criminali e avviare un’azione penale, ma la sera tutto è stato annullato. Prigozhin ha ricevuto i suoi soldi e ha lasciato liberamente la Russia. È stato un affare privato tra Putin e Prigožhin dall’inizio alla fine, senza la partecipazione di nessuna istituzione statale, il coinvolgimento del leader bielorusso Aleksandr Lukashenko è stato solo di facciata». Secondo Mikhail Kasyanov è importante che i russi e le persone al governo capiscano che «la faccia di Putin è uguale a quella di Prigozhin».

 

L’obiettivo non era «cambiare il regime e destituire Putin»: «Prigozhin voleva che Putin e i generali rispettassero le promesse, che il suo ruolo e tutto quello che aveva fatto, soprattutto la lunga e sanguinosa battaglia di Bakhmut, gli venisse riconosciuto». Tre le richieste: «che venisse adottato un provvedimento legislativo speciale affinché la sua milizia militare privata fosse riconosciuta come legale. In Russia i gruppi militari privati sono vietati, il suo status è illegale, lui è un bandito. In secondo luogo, voleva i soldi promessi a lui e al suo esercito e, in ultimo, munizioni e un equipaggiamento militare adeguato per continuare a combattere».

 

Il Ministero della Difesa russo non ha mai dato seguito alle promesse di Putin: «Prigozhin, oltre ogni immaginazione, ha prima deciso di fare pressione sui generali marciando su Rostov e poi, quando ha visto che non succedeva nulla, ha inviato la sua squadra a Mosca per fare pressioni su Putin». Per Putin è stata una grande sfida: «non perdonerà mai Prigozhin, non è più un amico ma un nemico. Gliela farà pagare».

 

Kasyanov non si aspettava questa «guerra criminale» con cui Putin perseguiva due obiettivi: «il primo è farsi rispettare dal governo statunitense, posizionarsi nello scacchiere internazionale a un livello superiore, come nel periodo sovietico quando c’erano due superpotenze, l’Urss e gli Usa. Il secondo aumentare la sua legittimità in Russia dove da dieci anni si assiste al declino del reddito. Voleva dimostrare ai russi che la Russia è rispettata nel mondo e che lui dà stabilità e prosperità, anche se non è così».

 

Putin continua a minacciare l’uso in Ucraina di armi nucleari tattiche che sarebbero state già dispiegate in Bielorussia, circa duemila ordigni con un raggio d’azione distruttiva di un paio di chilometri: «È la sua ultima carta e si tratta di propaganda, sono sicuro che non userà le armi nucleari perché non gli darebbero alcun successo sul campo di battaglia ma avrebbero conseguenze devastanti per il regime. La Cina si è pubblicamente opposta ed è stato un colpo molto duro alla sua immagine».

 

Putin è solo: «Entro la fine del 2024 in Russia inizieranno i veri cambiamenti e partiranno dal vertice perché le persone al governo non vedono più Putin come un leader e saboteranno i suoi ordini. Il sistema non funzionerà più e credo che Putin si dimetterà dalla carica di presidente».