La strage di Hamas al rave in Israele, seguita dai massacri nella Striscia e in Libano. Il racconto di una terra senza pace nel libro dello storico corrispondente dal Medio Oriente

In libreria per Sellerio “Il giardino e la cenere. Israele e Palestina nel racconto di un albergo leggendario”, il volume di Alberto Stabile – storico corrispondente per Repubblica dal Medio Oriente e nostro collaboratore – incentrato sulle vicende che ruotano intorno all’American Colony Hotel di Gerusalemme. Pubblichiamo qui un estratto della prefazione.

 

Per anni, agli occhi dei palestinesi di Gaza, Israele è apparso come una fortezza inespugnabile in cui erano nascoste le chiavi della libertà e persino della sopravvivenza. Se la Striscia era diventata, secondo la più accettata delle definizioni, una «prigione a cielo aperto» per una popolazione che nel 2022 toccava la cifra di 2.300.000 persone in gran parte profughi o discendenti dei profughi del grande esodo di massa del 1948 – «guerra d’indipendenza» per gli uni, guerra di espropriazione della terra e di fuga dalle proprie case per gli altri –, Israele restava il sogno oltre il filo spinato, la meta dell’impossibile ritorno alla normalità e, in definitiva, alla salvezza.

 

Lì c’era il lavoro, la ricchezza, la salute e quel che restava della propria identità personale, famigliare, conservata nello scrigno della memoria e custodita all’interno delle case che erano stati costretti ad abbandonare e dove, adesso, vivevano altre famiglie. Qui, nella Striscia, regnava la crudele nostalgia, l’indigenza dei campi profughi, la precarietà della benevolenza internazionale, la mancanza d’identità.

 

All’alba del 7 ottobre 2023, 2.000 miliziani del Movimento Islamico di Resistenza, Hamas, il più agguerrito e fanatico dei nemici d’Israele, cui nel corso della giornata si sono aggiunti 1.000 «fiancheggiatori» assetati di sangue, hanno fatto crollare la sofisticata recinzione tecnologica e militare eretta negli anni intorno alla Striscia. Il risultato è stato l’orribile massacro di 1.139 israeliani, tra civili e militari, con più di 3.000 feriti e 240 persone prese in ostaggio e condotte a Gaza.

 

Soldati dell’esercito israeliano pattugliano l’insediamento di Kfar Aza, nel Sud di Israele, vicino al confine di Gaza

 

Ma per i palestinesi della Striscia, come per quelli della West Bank, non si sono aperte praterie di libertà, né si è avverato il sogno a lungo coltivato del ritorno nelle proprie case e nei villaggi da cui erano stati espulsi; piuttosto, si sono spalancate le porte di un inferno fatto di bombe, morte, distruzione, carestia e, forse, di un altro esodo in un nuovo altrove, lontano e sconosciuto.

 

La reazione di Israele, finalizzata alla distruzione di Hamas e a impedire che in futuro si possa ripresentare una minaccia simile a quella del 7 ottobre, è stata devastante.

 

Dopo 200 giorni di guerra, le vittime palestinesi avevano superato l’agghiacciante cifra di 34.000 morti, in gran parte donne e bambini, e di oltre 77.000 feriti. Un’ecatombe su un paesaggio di macerie.

 

Come questo sia potuto accadere appartiene agli interrogativi di cui la Storia dovrà occuparsi. Ciò che è certo è che il 7 ottobre 2023 ha segnato una svolta nel conflitto secolare tra israeliani e palestinesi. (…) D’ora in avanti, per gli uni e per gli altri, ci sarà un prima e un dopo il 7 ottobre.

 

Ogni giorno si fa sempre più evidente la distanza abissale che separa le due ricostruzioni dell’assalto compiuto dagli uomini di Hamas, per i quali si è trattato di una «manovra difensiva» messa in atto per evitare che la questione palestinese venisse fagocitata dalla logica globale del più forte e condannata all’oblio. Al contrario, secondo gli israeliani, come anche per molti ebrei del mondo, a scatenare la cieca violenza terroristica dei miliziani di Hamas, colpevoli di aver non soltanto ucciso, ma anche violentato donne e dissacrato cadaveri (accusa che il movimento islamico respinge come «propaganda di guerra»), è stato l’antico, irriducibile odio contro gli ebrei. Agli occhi di Israele, quello messo in atto il 7 ottobre altro non è che un pogrom antisemita, come quelli avvenuti nell’Europa orientale a cavallo del 1900, oppure, secondo un’altra definizione, «il più grave massacro contro il popolo ebraico dopo l’Olocausto».

 

(…) La paradossale situazione di Gaza incubava almeno da quando Hamas, a partire dal giugno del 2007, al termine di una breve e sanguinosa guerra civile, aveva conquistato il potere su tutta la Striscia, a spese degli uomini dell’Autorità Nazionale Palestinese, costretti alla fuga. Qualche mese dopo, d’accordo con la comunità internazionale, Israele aveva dichiarato Gaza «entità nemica», stringendola in un assedio economico, politico e militare soffocante e mai cessato. (…)

 

Quello del 7 ottobre, quindi, era un fuoco che covava sotto la cenere.

 

Molte volte mi è capitato di andare a Gaza durante il mio lavoro di corrispondente. Spesso ho visto materializzarsi la spietatezza dei contendenti; l’inesorabile precisione delle «esecuzioni mirate» con cui le forze di sicurezza israeliane tra il 2003 e il 2005 hanno sistematicamente eliminato i capi di Hamas; la rassegnata disperazione dei civili costretti a vivere nelle macerie delle loro case, all’indomani delle devastanti operazioni militari punitive, perché l’importazione dei materiali da costruzione era interdetta dal blocco; la fredda determinazione dei miliziani integralisti e dei loro dirigenti, convinti che alla popolazione di Gaza non si potesse offrire di meglio che un futuro di guerra permanente verso la creazione di un’autocrazia religiosa come quella che dal 2007 ha governato l’intera Striscia.

 

 

(…) Nonostante il continuo risorgere della violenza, l’impossibilità di entrare e uscire dalla prigione salvo che per motivi umanitari, e il senso di disperazione che affiorava nell’animo delle persone con cui venivo a contatto, conservo nella memoria il quadro di semplicità e bellezza che un antico poeta del luogo aveva così riassunto: «Gaza è un tappeto prezioso disteso sulla spiaggia ad asciugare».

 

Per gentile concessione di Sellerio editore Palermo