Dalla perizia balistica emerge che l’ambasciatore in Congo e la sua scorta non sono stati uccisi per errore. Ma le scelte della Farnesina rischiano di allontanare la verità

«La perizia balistica che abbiamo depositato in Procura induce a pensare che si sia trattato di un’esecuzione. L’uccisione di Attanasio era voluta. Non ci è scappato il morto per caso». Non ha dubbi l’avvocato Rocco Curcio, legale della famiglia dell’ambasciatore Luca Attanasio, ucciso nella Repubblica democratica del Congo il 22 febbraio del 2021 assieme al carabiniere che gli faceva da scorta, Vittorio Iacovacci, e all’autista del World Food Programme Mustapha Milambo. Secondo il consulente dei familiari del diplomatico, i soggetti che hanno sparato erano in piedi e a distanza ravvicinata. I colpi non possono essere stati esplosi dai guardaparchi accorsi sul posto: erano lontani dalle vittime.

 

Risultati balistici diversi da quelli a cui erano arrivati i carabinieri del Reparto operativo speciale, che non hanno mai potuto raggiungere il luogo del delitto, nella provincia congolese del Kivu, ma si sono dovuti “fermare” nella capitale Kinshasa. La perizia della difesa completa il quadro emerso dall’autopsia disposta dal pm dell’inchiesta, Sergio Colaiocco, ed eseguita il 24 febbraio del 2021 dallo staff di medicina legale del dipartimento di Sicurezza e Bioetica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma.

 

Secondo il referto dell’esame sui corpi delle due vittime italiane, le «ricostruzioni multiplanari e le ricostruzioni 3D hanno evidenziato una prevalente dislocazione di frammenti ossei verso destra e verso l’alto, a supporto dell’ipotesi che la traiettoria lesiva sacrale sia stata diretta da sinistra a destra e dal basso verso l’alto». Emerge quindi con chiarezza che i colpi non provenivano dalla direzione da cui sparavano i ranger, prima di arrivare sul luogo dell’imboscata, e soprattutto che non sono compatibili con uno scontro a fuoco, bensì effetto dell’azione premeditata di soggetti che hanno preso volutamente di mira Attanasio e Iacovacci.

 

Un’ulteriore conferma, come ha raccontato in questi anni L’Espresso e documenta il libro “Le verità nascoste del delitto Attanasio”, che non si è trattato di un tentativo di sequestro finito male. Nella fase iniziale delle indagini era emerso che le vittime erano state raggiunte da due colpi ciascuno: l’ambasciatore all’addome e a un gluteo, Iacovacci al fianco destro e alla base del collo, dove è stato rinvenuto un proiettile di un AK47, un kalashnikov.

 

«I risultati emersi dalla perizia balistica mi lasciano interdetto – è il commento a L’Espresso del fratello del carabiniere, Dario Iacovacci – morire giustiziati senza un movente in una missione a cui Vittorio adempiva ogni giorno col sorriso e con abnegazione rattrista ancora di più. Una vita spezzata, tanti sogni da realizzare… Posso solo augurarmi che sia fatta piena giustizia, come merita Vittorio, per non ammazzarlo due volte. E sono ancora più rattristato al pensiero che il nostro Stato davanti a una tragedia del genere non sia mai stato presente in aula al fianco dei genitori e dei familiari di Vittorio e Attanasio. Credo vivamente che questo governo non ci rispecchi. Non rispecchia minimamente l’anima del suo popolo, sempre pronto ad aiutare il prossimo e non ad abbandonarlo come ha fatto questo Stato nei nostri confronti».

 

L’ambasciatore Luca Attanasio (al centro) in visita alla comunità Malaika

 

Parole amare quelle di Dario Iacovacci, su cui pesa lo sconforto di constatare, a quasi tre anni da quel triplice delitto, che si è ancora molto lontani dalla verità e che non ci sia alcuna intenzione da parte delle istituzioni coinvolte di garantire quella giustizia doverosa per due servitori dello Stato uccisi durante lo svolgimento delle proprie mansioni. Con la testimonianza del capo servizio per gli Affari giuridici, il contenzioso diplomatico e i trattati del ministero degli Esteri, Stefano Zanini, che conferma quanto anticipato da L’Espresso in articoli precedenti, la Farnesina ha espresso parere favorevole sulla questione dell’immunità posta nell’ambito dell’udienza preliminare con una “eccezione” presentata dall’avvocato Bruno Andò, difensore di Rocco Leone, uno dei due funzionari del World Food Programme accusati di omicidio colposo, di omesse cautele e falso.

 

Dopo la mancata costituzione dello Stato italiano come parte civile, il governo sceglie di “tutelare” l’agenzia Onu, a discapito della verità; avvalorando la tesi della sussistenza dei «privilegi diplomatici» contestati dal procuratore aggiunto Sergio Colaiocco e dalla sostituta Gianfederica Dito che hanno avanzato la richiesta di rinvio a giudizio per Leone e Mansour Rwagaza, la cui posizione è stata però stralciata in quanto «irreperibile».

 

L’accusa, che ha chiesto di non acquisire le memorie dei due testi depositate nell’udienza del 24 gennaio – Zanini era accompagnato dalla collega Valentina Savastano del Servizio diplomatico – ha ribadito che non esistono precedenti giuridici che possano far valere una qualsivoglia “prassi consolidata” per questo caso ma dovrebbe far testo la convenzione tra ministero e Wfp, che prevede la comunicazione delle liste dei nominativi dei propri dipendenti per poter accedere all’immunità.

 

Ma tali «comunicazioni», secondo quanto evidenziato dai rappresentanti della Farnesina, sarebbero di natura «dichiarativa e non costitutiva dell’immunità funzionale» e che su di esse prevale la «consuetudine internazionale» di riconoscere i privilegi diplomatici a tutti i funzionari delle organizzazioni internazionali legate alle Nazioni Unite. La Procura contesta su tutta la linea la lettura fornita dal ministero sostenendo tra l’altro che «i due funzionari statali, in quanto testimoni, non avrebbero dovuto depositare delle memorie, bensì limitarsi a rispondere a delle domande». La giudice dell’udienza preliminare, Marisa Mosetti, ha deciso di acquisire i documenti escludendo le parti valutative e ha rinviato l’udienza al 13 febbraio, riservandosi di utilizzare i testi a disposizione per elaborare ed esprimere la sua valutazione sull’immunità.