I russi hanno dato una svolta moderna al conflitto passando dai vecchi mezzi militari sovietici a droni e aviazione. Mentre le truppe di Kiev sono costrette a stare al coperto e a cambiare tattica

«Senza armi è dura, come possiamo combattere quando i russi ci sparano dieci colpi e noi rispondiamo con uno?». Sasha, un insegnante ucraino partito volontario all’inizio della guerra, spiega così il silenzio della sua brigata lungo il fronte est. Siamo a pochi chilometri da Avdiivka, nel Donetsk, in una di quelle cantine civili riconvertite a caserme e denominate «case sicure». Poche assi di legno inchiodate per formare letti a castello, una vecchia stufa di ghisa e qualche provvista vicino a un bollitore a gas, tutto qui. Uno scantinato di neanche nove metri quadrati che i contadini dell’area usavano per seccare e conservare gli alimenti o come deposito degli attrezzi. Ce ne sono centinaia nel Donbass e in questi sotterranei angusti da mesi vivono i soldati. Lo stato maggiore ha imparato la lezione del primo periodo di conflitto e Sasha la sintetizza: «Se scoprono qualcuno di noi e bombardano la casa, moriamo in otto; se fossimo in una vera base, ne morirebbero a decine, forse centinaia». Quindi ora la guerra si fa in piccoli gruppi anche quando non si è impegnati in prima linea. Da quando i russi hanno iniziato a impiegare costantemente flottiglie di droni per controllare le linee nemiche, i militari ucraini hanno l’ordine tassativo di restare al coperto mentre non sono in azione.

 

Come abbiano fatto gli uomini del Cremlino a dotarsi di una quantità così ingente di velivoli teleguidati per gli ucraini al fronte resta un mistero. «Il fatto è che da quando hanno iniziato a usare gli Fpv (i droni pilotati con i visori personali, ndr) e a usarne così tanti, abbiamo dovuto modificare le nostre abitudini nelle prime linee», dice Pavel. Su come siano riusciti a procurarseli, lui si dà la stessa spiegazione dei media ucraini: «Contrabbando. Devono essere le triangolazioni del mercato nero; alcuni Paesi per guadagnare stanno facendo passare software e componenti che poi nelle fabbriche russe riadattano sui droni». Ma se questo era vero mesi fa, ora si vedono i nuovissimi quadcopters (a quattro eliche) o i Mavic (famoso modello di droni ludici prodotto dalla ditta cinese Dji) riadattati. Volano da soli o a sciami e seminano il panico tra le file dell’esercito. Sentirne il ronzio può significare che sei morto o, nel migliore dei casi, che la copertura della tua unità è saltata e hai poco tempo per avvisare tutti che è obbligatorio trasferirsi il più in fretta possibile. I video pubblicati dai canali russi su Telegram mostrano cosa succede quando l’unità è troppo lenta o quando i soldati non se ne accorgono. Addirittura, ogni tanto spunta un video macabro in cui un dronista si diverte a inseguire soldati sorpresi a piedi. Negli occhi degli uomini in fuga, quelle rare volte che si girano per controllare, si vede il terrore. E come potrebbe essere altrimenti?

 

La guerra in Ucraina si è rapidamente trasformata, quasi “evoluta”, anche se il concetto implica un miglioramento che quando si tratta di uccidere appare poco adatto. Ma dai vecchi carri armati sovietici dei primi mesi, dagli imprecisi mortai degli anni ’80, dalle trincee e dagli agguati si è lentamente passati a un conflitto più moderno. I droni sono il simbolo più evidente di tale aggiornamento, se non altro perché costringono la fanteria nemica a modificare i propri comportamenti. Inoltre, i russi hanno iniziato a impiegare molto più frequentemente anche l’aviazione tradizionale, adottando il famoso primo principio degli eserciti della Nato: la «copertura aerea». È di pochi giorni fa la notizia che i caccia di Mosca hanno iniziato a sganciare una nuova bomba (in realtà una vecchia testata riadattata) chiamata Fab-1500. Secondo la Cnn si tratta di «un armamento di epoca sovietica convertito in una bomba planante, da 1,5 tonnellate di cui la metà fatta di esplosivi ad alto potenziale, in grado di provocare un cratere largo 15 metri». Gli aerei possono sganciarle anche da 60-70 chilometri, al sicuro dalla contraerea ucraina.

 

Il presidente Volodymyr Zelensky a Izium, dopo che le forze ucraine hanno ripreso il controllo della città nel settembre 2022

 

Sasha, Pavel e gli altri ragazzi sono stanchi, esauriti dal punto di vista mentale oltre che fisico. Non tornano a casa da mesi, alcuni da più di un anno, e probabilmente non vi faranno ritorno per un bel po’. La rotazione nell’esercito ucraino non funziona, nelle grandi città delle retrovie le mogli e le madri dei soldati al fronte protestano affinché i loro uomini possano rientrare per un periodo, ma al momento non sembra possibile. I reparti che hanno acquisito più esperienza – come la famosa III Brigata d’Assalto (nella quale è confluito l’ex Reggimento Azov) inviata a Mariupol, poi a Bakhmut e ora ad Avdiivka – sono costantemente dislocati nei settori più critici. Sono gli uomini più preparati dell’esercito ucraino, spesso inviati a morire per salvare l’insalvabile. Come ad Avdiivka, dove il tentativo disperato di rompere l’accerchiamento ne ha lasciati a terra centinaia. Il generale Oleksandr Syrsky, nuovo comandante in capo delle forze armate ucraine, nominato da Volodymyr Zelensky per sostituire l’odiato e temuto Valery Zaluzhny, è stato subito chiamato a gestire una situazione disperata e, a quanto dicono i soldati stessi, non ha dato una buona impressione. Si consideri che Syrsky era il comandante delle truppe di terra durante la battaglia di Bakhmut, fu lui a ordinare decine di assalti infruttuosi, secondo alcuni analisti sotto ordine diretto di Zelensky, che gli valsero il soprannome di «macellaio» tra gli uomini al fronte. Dopo la sconfitta ad Avdiivka la sua fama non è migliorata. I militari ritengono che l’ordine di ritirata sia stato dato tardi e che l’organizzazione sia stata pessima. Iniziano a sentire di essere stati abbandonati.

 

Come in questi due anni: grandi resistenze fino all’ultimo uomo, in condizioni disperate, mentre intorno i commilitoni muoiono come mosche. E, scrive un militare reduce da Avdiivka su Instagram, «come in politica, nessuno ama le decisioni impopolari. Il ritiro del personale combattente? No. Al contrario: una difesa eroica che a qualcuno potrebbe anche far ottenere una promozione». Per mesi report e analisi hanno detto del «morale a terra» dei soldati russi inviati al fronte di forza. Ora basterebbe un giro tra le case sicure del Donbass per capire che anche dal lato ucraino l’ottimismo è sparito. I soldati si sono rassegnati a una guerra lunga e di logoramento. Scavano trincee e nuove fortificazioni a ridosso del fronte, sanno che tra poco i reparti russi tenteranno una nuova offensiva e toccherà a loro difendere le posizioni ucraine. Tutti si chiedono quale sarà la prossima direttrice di avanzamento e intanto i reparti in prima linea sono costretti a fronteggiare i continui attacchi missilistici e le sortite della fanteria verso Mariinka, Krasnogorivka e Kupiansk. Il comando orientale ucraino teme inoltre una nuova avanzata verso Ugledar, a Sud dell’oblast del Donetsk. Nelle piccole cantine del Donbass se ne parla a bassa voce: ogni punto sulla cartina vuole dire l’inizio di un inferno, ci si chiede stavolta a chi toccherà.