Polveriera ex Urss

Nella Transnistria controllata dai russi la guerra è già nell'economia

di Salvatore Giuffrida   20 marzo 2024

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La regione separatista della Moldavia è di fatto controllata da Mosca. Ma ora la partita tra Chisinau (con l’Ue) e Tiraspol si gioca a colpi di dazi sull’export e tasse per le aziende

Tornano a soffiare sulla Moldavia venti di conflitto provenienti dalla Transnistria, regione ribelle e separatista che da anni chiede di unirsi alla Russia: dal 1992 permane uno stato di guerra congelata e 1.500 soldati russi controllano l’area, una striscia di 800 chilometri al confine con l’Ucraina, lungo il fiume Nistro. Tutto è rimasto ai tempi dell’Urss in Transnistria: si usa il rublo, si vive nei block costruiti da Leonid Brežnev, si cammina fra i check-point dei soldati e la statua di Lenin davanti al Congresso che indica la strada al socialismo con il dito puntato al cielo. Eppure solo 80 chilometri dividono il capoluogo Tiraspol dalla capitale della Moldavia, Chisinau: un’ora di macchina in mezzo alla campagna, tra i vitigni piantati nel suolo per difendersi dal vento e gli alberi di noce nei cortili delle case con il pavimento in terra battuta, foderato di tappeti.

Ma sul fiume Nistro i ponti sono controllati dai soldati russi con il kalashnikov spianato: la guerra in Ucraina ha trasformato la questione Transnistria in un potenziale nuovo Donbass, che ormai riguarda anche l’Europa, visto che la Moldavia è candidata a entrare nell’Ue entro i prossimi anni. Il problema è che il termometro della crisi segna una temperatura caldissima e lo farà anche nei prossimi mesi. Il 28 febbraio scorso, il congresso di Tiraspol, organo simbolico, ha votato una risoluzione per chiedere alla Russia di proteggere la regione dalla Moldavia, sottolineando che in Transnistria vivono almeno 220 mila cittadini russi. In realtà, una escalation del conflitto coinvolgerebbe direttamente Ue e Nato: il che è sufficiente, finora, a spegnere qualsiasi vento di guerra.

Ma la vera partita si gioca sul piano economico. Da mesi Chisinau, supportata dall’Ue, ha messo in atto una nuova strategia: soffocare la regione ribelle, la cui economia è in mano al gruppo Sheriff, fondato negli anni ’90 da due ex agenti del Kgb. Supermercati, gas, fabbriche, allevamenti di storioni, la famosa distilleria Kvint e la squadra di calcio: il gruppo controlla la regione e colpirne produzioni e commerci significa costringere il presidente Vadim Krasnoselsky a cedere e a ritornare nell’alveo della Moldavia. Non a caso la crisi internazionale del 28 febbraio è conseguente alla decisione di Chisinau d’imporre dal 1° gennaio 2024 nuovi dazi doganali ai beni prodotti in Transnistria e destinati all’export attraverso l’accordo di scambio del 2013 fra Moldavia e Ue: la Transnistria importava ed esportava gratis, tanto pagava Chisinau.

Da inizio anno, invece, le aziende della regione devono essere inserite nel registro di Chisinau: un modo per monitorare il contrabbando di armi e sigarette dalla Transnistria, visto che a Cobasna, a 20 chilometri da Tiraspol, c’è il deposito di armi più grande al mondo, inaccessibile a tutti e controllato dai soldati russi. Decisivi i prossimi mesi. Tiraspol ha risposto imponendo nuove tasse alle duemila imprese moldave presenti nella regione, ma la partita si gioca sulle materie prime. La Transnistria produce energia elettrica destinata alla Moldavia al costo di 1,19 leu (0,07 dollari) per kilowatt: al mercato estero Chisinau paga il triplo. Ma ora che gli scambi fra Chisinau e Tiraspol sono destinati a finire, per le famiglie moldave aumenterà il costo di energia elettrica e gas: la sfida per la presidente della Repubblica, Maia Sandu, è garantire la tenuta sociale del Paese.