Censura

La storia della canzone che ha fatto cadere la dittatura in Portogallo

di Marco Ferrari   2 maggio 2024

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Un brano vietato dalla censura di Salazar fu il segnale. Cinquant’anni fa la Rivoluzione dei Garofani riportava senza spargimenti di sangue la democrazia nel Paese dopo un regime feroce durato oltre quattro decenni

Improvvisamente uno squarcio si aprì nella dimenticata dittatura portoghese. Dopo il golpe in Cile del 1973, le feroci repressioni in Grecia, il fallimento della Primavera di Praga del 1968 e la guerra del Vietnam, un vento di speranza si alzò nel cielo atlantico.

Tutto ebbe inizio a mezzanotte, venti minuti e diciannove secondi di giovedì 25 aprile 1974 quando Teodomiro Alberto Azevedo Leite de Vasconcelos, voce della cattolica Rádio Renascença, insolitamente lesse la prima quartina della canzone "Grândola Vila Morena" seguita dal brano di José Afonso, proibito dalla censura. 

Era il segnale definitivo per l’inizio di quella che è passata alla storia come la Rivoluzione dei Garofani (Revolução dos Cravos), fiori infilati nelle canne dei fucili dalla "menina dos crâvos" (la ragazza dei garofani), Dona Celeste, ai militari che circondavano la caserma di Largo do Carmo, dove si era asserragliato il primo ministro Marcelo Caetano. Sono passati cinquant’anni esatti e quella sollevazione pacifica, guidata dai militari, stanchi di morire tra le mangrovie africane, resta uno dei simboli della nuova Europa.

In quella tiepida notte di aprile d’improvviso si sbriciolò la distanza, oltre la barriera franchista, oltre l’orizzonte di El Greco, oltre gli speroni di arenaria della dormiente Spagna. Crollava così la vetusta dittatura europea, durata quarantasette anni, 10 mesi, ventiquattro giorni e sei ore, un esempio di isolamento, fascismo e brutalità che resisteva nel mondo dei Beatles e dei Rolling Stones. 

Così, su due piedi, in tanti partirono con la voglia di rivoluzione, in treno, in macchina, in autostop con un sacco a pelo, i Ray-Ban, la sciarpa di Truffaut, i pantaloni a campana, il tascapane, le canzoni di Rino Gaetano e Gilbert O’Sullivan in testa. Che cosa si poteva trovare in quella città incredula di scoprire la libertà? Uomini che tornavano da anni di esilio dall’Urss o dalla Francia e che aprivano la porta cigolante della neonata sede del Partito Comunista con un tremulo di paura stampato negli occhi oppure giovani portoghesi che rientravano da Roma o da Londra dove avevano evitato il servizio militare oppure ragazzi che si erano formati nel vasto impero senza aver mai visto la madrepatria. 

Nella primavera del ’74 l’ora più bella di Lisbona era il tramonto al Rossio, la piazza centrale, quando le librerie si riempivano di gente che andava a scovare testi appena stampati, nei bar all’aperto si raccoglievano crocchi di persone per leggere i giornali e nell’aria vibravano forti odori del caffè appena macinato e del lucido dei lustrascarpe. 

Di quegli eroi dei garofani molti non ci sono più: Fernando José Salgueiro Maia, l’uomo che fece arrendere il dittatore Marcelo Caetano, è deceduto nel 1992; José Afonso, il cantante censurato, è scomparso nel 1987; Alvaro Cunhal, l’integerrimo segretario del Partito Comunista, se n’è andato per sempre nel 2005 lasciandoci significativi libri di poesie; Antonio da Spinola, l’enigmatico fautore del golpe, è morto nel 1996; Vasco Gonçalves, il generale che attuò nel 1974 i principi socialisti della rivoluzione e che venne scalzato nel settembre dell’anno successivo, ci ha lasciati nel 2005; Mario Soares, a lungo primo ministro e capo dello stato, ha esalato l’ultimo respiro del 2017; Otelo de Carvalho, mente operativa dei giorni dei Garofani, è deceduto all’Ospedale delle forze armate il 25 luglio del 2021). 

 

Qualche sbiadito ritratto di Otelo e molti murales ancora resistono sui muri ocra di Lisbona nelle celebrazioni del cinquantennale della Rivoluzione dei Garofani, segnata da una crisi politica e dall’ascesa dell’estrema destra, salita al 18 per cento alle recenti elezioni. Il Portogallo, invece, ha dimenticato in fretta il lungo tunnel dittatoriale, incarnato da António de Oliveira Salazar e quindi da Marcelo Caetano. 

Salazar prese il potere nel 1932, si fece dittatore, passò indenne nella Seconda Guerra Mondiale, ma finì il suo dominio per colpa della famosa caduta dalla sedia, dal callista Augusto Hilário nel forte di Santo Antonio. Allora si creò una incredibile situazione: mentre i centri di potere nel settembre 1968 incaricarono Marcelo Caetano di proseguire l’esperienza ormai logora dell’Estado Novo, l’anziano dittatore si riprese e tornò nella residenza di São Bento dove, per quasi due anni, sino alla morte avvenuta il 7 luglio 1970, nessuno osò annunciargli che non era più il presidente del Consiglio. 

In quel periodo andò in scena la più grande finzione politica dell’Europa moderna con quotidiani, trasmissioni televisive e radiofoniche fabbricate al solo scopo di nascondere la verità a Salazar. Una figura quasi invisibile, campagnola, sconosciuta nel mondo, che uscì dal Paese solo sette volte per una decina di chilometri in territorio spagnolo per incontrare Francisco Franco.

Marcelo Caetano mantenne in vita il salazarismo senza Salazar mostrandosi contraddittorio e ambiguo, schiavo della Pide, la polizia politica. Così la questione ultramarina gli scoppiò tra le mani: un impero troppo vasto per una nazione piccola non poteva reggersi più senza democrazia. Da lì partì la rivolta dei Capitani dei Garofani, (Movimento dos Capitães), figli della borghesia lusitana che non volevano morire nell’umidore delle colonie (Angola, Mozambico e Guinea Bissau), dove andava in scena da secoli una politica sanguinosa e aggressiva.

Se sino a qualche anno fa i reduci del 25 aprile erano nelle strade a inneggiare alla democrazia, oggi gli ultimi superstiti delle forze rivoluzionarie del 1974 sfilano, da pensionati, assieme agli “indignados” portoghesi, ai collettivi e alle organizzazioni sociali che si mobilitano contro il nuovo governo conservatore, mezzo secolo dopo "Grândola Vila Morena".