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Lo spionaggio cinese è diventato un grosso problema per la Germania
Quattro persone sono state arrestate negli ultimi giorni, con l’accusa di essere agenti di Pechino. Che mirano alla politica, ma soprattutto alle industrie. E ora Berlino è in imbarazzo
C’è una battuta che il capo dei servizi segreti interni della Repubblica federale Thomas Haldenwang ama ripetere citando un collega britannico del MI5. «I russi sono il temporale, i cinesi sono il cambiamento climatico», invisibili a occhio nudo ma inesorabili. Dalla metà degli anni Novanta ai servizi di sicurezza interna della Germania, il BfV, è noto che la Cina ha gli occhi puntati sulla prima economia d’Europa. Un anno fa, al tempo della crisi dei palloni-spia cinesi, il numero uno del BfV disse che «la Cina sta sviluppando attività di spionaggio e dobbiamo essere preparati al fatto che queste attività aumenteranno nei prossimi anni». Detto, fatto. Mai prima d’ora era capitato che così tanti spioni venissero a galla nello stesso momento in Germania. E la pesca degli ultimi giorni potrebbe essere «solo la punta dell’iceberg», suggerisce il deputato verde Konstantin von Notz.
Ultima in ordine cronologico è stata la vicenda dell’arresto dell’assistente del deputato europeo dell’ultradestra di Alternative für Deutschland Maximilian Krah. Un cittadino cinese naturalizzato tedesco, Jian Guo, sotto osservazione dei servizi tedeschi da 15 anni e ora imputato dalla Procura generale come agente dei servizi cinesi. Guo avrebbe usato il suo accesso al Parlamento europeo per passare a Pechino informazioni riservate riguardo ai progetti di difesa Ue. Appena 24 ore prima del suo arresto era stato reso noto il fermo di tre cittadini tedeschi con l’accusa di spionaggio per conto della Cina. Si tratta di Thomas R., e una coppia di coniugi di Düsseldorf, Herwig e Ina F. Il primo sarebbe stato alle dirette dipendenze del ministero per la Sicurezza dello Stato cinese (Mss) mentre gli altri due erano titolari di un’azienda – con filiale a Shanghai – che aveva come unico scopo recuperare e inoltrare a Pechino informazioni. Qualche giorno fa infine è arrivata la conferma da Volkswagen di un gigantesco caso di spionaggio ai danni del colosso dell’auto. Tra il 2011 e il 2015 dall’azienda sarebbero stati trafugati migliaia di documenti. Protagonisti gli hacker cinesi al servizio del Mss – i cosiddetti Panda. Si trattava perlopiù di documentazione relativa alle auto automatiche, all’alimentazione alternativa e alle auto elettriche. Il furto è andato avanti per anni, conferma adesso una nota interna all’azienda. Secondo la ricostruzione del magazine Frontal, solo nel 2013 il colosso dell’automotive ha scoperto cosa stava succedendo e ha cercato di porvi rimedio. Inutilmente. Gli hacker hanno aggirato i cambiamenti introdotti nel sistema It. Solo nel 2015 l’azienda è riuscita a staccare la spina ai Panda cinesi. Inefficienza o masochismo? Entrambi e nessuno. Il mercato cinese era ed è il primo mercato al mondo per le auto Volkswagen. E non solo il maggiore mercato di sbocco ma anche un mercato di approvvigionamento indispensabile. Sollevare questioni politiche avrebbe significato mettere a rischio gli affari e la catena di valore della produzione di batterie. Un pericolo che era meglio non correre. In qualche modo, il furto è entrato nel calcolo costi-benefici.
Il numero due dell’Ufficio federale per la Protezione della Costituzione (BfV) Sinan Selen ha spiegato la settimana scorsa che in Germania «le aziende non devono affrontare solo il classico spionaggio industriale da parte di concorrenti sleali, ma hanno anche a che fare con attori statali che cercano di far valere i propri interessi economici con ogni mezzo necessario». La Cina oltretutto non ha fretta. «Vogliono essere la prima potenza politica, militare ed economica del mondo entro il 2049. Questo obiettivo viene perseguito in modo continuato, con mezzi legali, ma anche con mezzi illegali», ha aggiunto il numero uno del BfV, Haldenwang.
L’interesse cinese tuttavia non si concentra solo sull’industria, ma anche e soprattutto sulle università e sui centri di ricerca che sviluppano nuove tecnologie. In particolare in tutte quelle che studiano e sviluppano prodotti dual use, per uso civile e militare. L’azienda di Düsseldorf, i cui due titolari sono stati arrestati per spionaggio la scorsa settimana, aveva da 7 anni una collaborazione con l’Università di Duisburg sulla ricerca di tecnologie militari, per esempio. La Germania ospita al momento 40.000 studenti cinesi. Che tra loro ci siano 40.000 spioni è difficile crederlo, ma quanti collaborano per quella macro-istituzione che è il ministero cinese per la Sicurezza dello Stato, che conta 110.000 collaboratori ufficiali, agenti segreti esclusi? Senza contare le decine di diplomatici che lavorano in Germania per l’Ufficio di Collegamento internazionale del Partito comunista cinese (Idcpc) che «agisce di fatto anche come servizio di intelligence della Repubblica popolare cinese e fa parte dell’apparato di intelligence cinese», spiega l’agenzia tedesca BfV.
Una cosa è certa. L’interesse cinese per la Repubblica federale si è sviluppato negli anni e continua a essere solido. Un esempio lampante è che la sola agenzia di stampa statale Xinhua poteva contare in Germania nel 2023 su 14 giornalisti dipendenti. Forse è vero quanto sostiene la rivista americana Foreign Policy: la visione di crescita della Cina di Xi Jinping è più orientata «a quella della Germania, con una potenza manifatturiera avanzata, che a quella degli Stati Uniti, basata su consumi e servizi».