Aumentano le donazioni online per evacuare i civili intrappolati nella Striscia. L’Espresso ha indagato sul flusso e sull’utilizzo di questi denari

In assenza di altre vie per uscire da Gaza, dallo scorso 7 ottobre il numero di donazioni online per evacuare i civili intrappolati nella Striscia è in aumento. L’Espresso indaga sul flusso e sull’utilizzo di questi fondi. Chi è riuscito a fuggire lo ha fatto attraverso le “agenzie di viaggio” egiziane, che si è rivelato essere legate a milizie locali

 

«Ancora prima di raccogliere i soldi per Gaza sai che dovrai armarti di pazienza e fornire molte più informazioni del solito», dice Lisa, giornalista, che organizza una raccolta fondi online per evacuare un suo collega dalla Striscia di Gaza. Come Lisa, tanti individui e associazioni organizzano oggi raccolte fondi destinate a pagare il passaggio dei gazawi dalla Striscia verso l’Egitto, tramite il valico sud di Rafah. Sempre più presenti sui social media, molte delle iniziative nascono su GoFundMe, una piattaforma di crowdfunding che permette di raccogliere soldi per cause personali o progetti caritatevoli. La piattaforma è attiva in soli 20 Paesi (alcuni Paesi europei, Canada, Stati Uniti, Messico e Australia), dai quali è possibile creare una raccolta fondi. «Dato che GoFundMe non è attivo nella Striscia di Gaza, deve essere qualcuno fuori dal territorio a lanciare il crowdfunding», dice Lisa. Anche se la piattaforma non è attiva in Medio Oriente, GoFundMe permette (al prezzo di informazioni molto dettagliate sui beneficiari e su come i soldi verranno usati) di creare una raccolta fondi per Gaza.

 

Una volta che la raccolta fondi è online, la persona che l’ha creata riceve i primi soldi, che la piattaforma non si fa però carico di recapitare. È la persona che ha creato la raccolta fondi che si incaricherà di riceverli dalla piattaforma e inviarli al beneficiario. Nella maggior parte dei casi, non è chiaro dove vada a finire il denaro. Moataz Hussein, un palestinese che ha pagato diecimila dollari alla Hala Company per evacuare lui e sua moglie da Gaza, rivela di non sapere chi abbia ricevuto i soldi dei donatori. Dice: «I nostri parenti nel Regno Unito hanno inviato il denaro. Il rappresentante di Hala ci ha chiesto di trasferirlo su un conto egiziano. I nostri nomi comparivano nelle liste di transito, ma quando ci siamo recati al valico di Rafah, siamo stati rimandati indietro senza alcuna ragione. Hala non ha risposto alle nostre chiamate per avere spiegazioni sul perché non potevamo attraversare o come recuperare i nostri soldi».

 

I permessi di transito attraverso il valico di Rafah, che prima dello scorso ottobre costavano 100 dollari e richiedevano circa un mese per essere rilasciati, sono diventati oggi molto più costosi. La Compagnia Hala funge da mediatrice, sfruttando le sue influenze all’interno del governo egiziano per accelerare questi permessi, conosciuti localmente come processo di «coordinamento». Con l’aumento della domanda di chi fugge da Gaza, i prezzi sono saliti alle stelle: Hala chiede 5.000 dollari per gli adulti e 2.500 dollari per i minori di 16 anni. Indagando sulla proprietà della compagnia Hala, nota per il controllo del valico di Rafah, è apparso spesso il nome di Ibrahim Al-Arjani. Secondo il sito web del media egiziano “Alyom AlSabei”, Al-Arjani, un uomo d’affari egiziano, è stato precedentemente arrestato per contrabbando di droga e conflitto armato con l’esercito egiziano nel 2008. Al-Arjani è stato misteriosamente rilasciato dopo due anni, quando Abdel Fattah al-Sisi, attuale presidente egiziano, ha preso il comando dell’Intelligence militare che supervisionava la sicurezza nel Sinai (Nord-Est dell’Egitto), dove Al-Arjani è attivo.

 

Nonostante sembri una società privata, secondo il politico egiziano Mohamed Amin Sadat, Hala Consulting and Tourism è in realtà una copertura per coordinare le attività dei servizi di sicurezza dello Stato egiziano. Sadat, membro del Consiglio egiziano per gli Affari esteri (Ecfa), afferma: «Nessuno viene autorizzato ad attraversare il valico di Rafah verso l’Egitto senza l’approvazione del comitato di sicurezza egiziano-israeliano, che è stato formato con discrezione. Questo coordinamento è tipicamente gestito dall’ambasciata egiziana che è ancora attiva a Tel Aviv». Sadat spiega che le autorizzazioni per l’attraversamento partono da Israele e vengono poi riferite alle autorità egiziane. «La compagnia Hala è semplicemente una copertura per questo intero processo», aggiunge.

 

Dopo il suo rilascio dal carcere, l’influenza di Al-Arjani è cresciuta notevolmente in Egitto. È a capo del Sinai Clan Gathering, una milizia armata che ha partecipato in modo significativo alla lotta contro l’Isis nel Sinai nel maggio 2017. Sebbene sia registrata come organizzazione civile, le sue dichiarazioni di guerra suggeriscono che funziona come un gruppo armato alleato con l’esercito egiziano nel controllo del Sinai. Al-Arjani possiede diverse società, tra cui Hala Company, Sons of Sinai e Misr Sinai, che controllano i contratti governativi per servizi e infrastrutture. In particolare, questi progetti, come quello di una fabbrica di marmo inaugurata dallo stesso presidente egiziano al-Sisi nel novembre 2016, evidenziano l’importanza di Al-Arjani. Gestisce anche i servizi di sicurezza Itous, che forniscono protezione armata.

 

Mentre la Striscia di Gaza continua a essere bombardata, l’unica scelta dei gazawi è quella quindi di affidarsi a società come Hala Company e a persone come Ibrahim Al-Arjani. Non esistono infatti altre vie più sicure o legali per uscire dal territorio: nessun corridoio umanitario che permette ai civili di andarsene è garantito. Dal 7 maggio (giorno in cui le autorità israeliane hanno chiuso anche l’ultimo valico rimasto aperto, quello di Rafah) a oggi, ogni via per uscire dalla Striscia di Gaza è impossibile.