Anniversari

Le violenze politiche del G8 di Genova hanno distrutto la fiducia nel sistema: «Ieri come oggi. È una lotta contro i mulini a vento»

di Jessica Mariana Masucci   19 luglio 2024

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Paolo Fornaciari fu tra i manifestanti picchiati e arrestati senza motivo dalle forze dell'ordine durante il vertice ligure. E racconta i pesanti strascichi lasciati da quell'aggressione di Stato: «Ogni divisa mi procurava terrore»

Alla fine dell’estate del 2001, un paio di mesi dopo il G8 di Genova, Paolo Fornaciari era solo in uno scompartimento vuoto del treno, fermo a Bologna. Mentre era in attesa di ripartire sono saliti a bordo due poliziotti, un uomo e una donna, con indosso i guanti. La scena lo ha messo in allarme per un momento. «Pensavo di avere una faccia che loro avevano registrata nel cervello; ogni divisa mi procurava un po’ di terrore. Per fortuna, questo, più o meno, passa».

 

Oggi, Fornaciari è seduto al tavolo da pranzo del salotto di casa sua, a Parma. Alcuni pezzi di arredo li ha progettati lui: è un disegnatore tecnico di arredi per uffici e negozi, prossimo alla pensione e ai sessant’anni. Il 20 luglio 2001, mentre manifestava durante quel G8, è stato arrestato a caso, picchiato, minacciato ripetutamente da persone in divisa, sballottato qua e là in un furgone e poi rinchiuso per tre giorni in carcere a Pavia. Se non fosse stato per un operatore Rai che si era ritrovato a filmare il suo arresto, non sarebbe riuscito nemmeno a scagionarsi. Non ha mai ricevuto risarcimenti o scuse da parte dello Stato.

 

 

Paolo Fornaciari fu tra coloro che subirono violenze durante il G8 di Genova nel luglio 2001.

 

 

In questi ultimi anni le divisioni politiche, le difficoltà economiche e la nuova avanzata di forze estremiste hanno fatto registrare in Europa un livello di vulnerabilità più elevato che nel recente passato rispetto alla violenza politica. Che cosa accade, allora, alla salute fisica, psicologica, sociale di chi subisce tale violenza? La risposta diventa ancora più complessa quando riguarda un tipo particolare di violenza politica, intrastatale, commessa da parte delle Forze di polizia dello Stato.

 

In Italia le violenze del G8 di Genova, ventitré anni dopo, dovrebbero agitare domande come questa e non far riemergere solo memorie non condivise ogni volta che l’operato di chi tutela l’ordine pubblico e la sicurezza viene messo in discussione. È accaduto, per esempio, lo scorso febbraio a Pisa, quando sono stati caricati gli studenti presenti a un corteo pro Palestina. Ogni volta scattano gli stessi pavloviani riflessi politici; Genova è destinata a riaffiorare, con le sue conseguenze sulla vita delle persone e della collettività.

 

Per ciò che è avvenuto ai manifestanti del G8 di Genova due psicologi sociali, Adriano Zamperini e Marialuisa Menegatto, hanno utilizzato la categoria di trauma psico-politico, che supera quella diagnostica di disturbo da stress post traumatico, perché riguarda tanto la sfera individuale quanto quella politica delle persone. È la fiducia nel sistema, nel patto sociale a essere erosa.

 

Per Fornaciari i dolori fisici – alle costole, ai testicoli, alle tempie – e gli effetti sulla psiche – il timore di essere seguito da qualcuno – si sono dissolti nel giro di qualche settimana o di qualche mese. È rimasta, però, ancora oggi colpita la sua cittadinanza. Si dice stanco e disilluso: «Alla fine, capisci di combattere contro i mulini a vento». Nonostante tutto, continua a impegnarsi nel volontariato sociale e a partecipare un po’ ai comitati cittadini che si occupano soprattutto di questioni ambientali.

 

Alla politica si era avvicinato con le manifestazioni seguite al disastro nucleare di Chernobyl e con l’obiezione fiscale alle spese militari; negli anni successivi ha frequentato un movimento italiano vicino agli ideali del subcomandante Marcos, andando anche in prima persona in Chiapas per aiutare a costruire una infrastruttura utile a portare l’energia elettrica in un villaggio indios. Andare a manifestare a Genova nel 2001 era abbastanza scontato per lui. L’atmosfera precedente al vertice – con la tensione alimentata da disinformazione e inquietante sensazionalismo – non lo aveva allarmato. «Mi scappa da ridere oggi nel pensare che eravamo andati quindici giorni prima in una libreria di Parma a comprare la cartina di Genova», ricorda, aggiungendo che l’idea di subire una dura repressione non pareva nemmeno immaginabile. «Mi ero detto: nell’arco della storia sono successe queste cose, però ormai non è più così, non siamo più in guerra, non siamo in Sud America».

 

Fornaciari è arrivato nel capoluogo ligure nella tarda serata di mercoledì 18 luglio e il giorno seguente ha partecipato alla manifestazione dei migranti. Venerdì 20 luglio, quando sono iniziati gli scontri, si trovava abbastanza lontano dalla testa del corteo, in via Tolemaide. Camminava a lato per riuscire ad andare avanti e indietro e a scattare fotografie alla manifestazione, quando tutti hanno iniziato a rallentare e a indietreggiare. Lui si è allora infilato in quella che credeva una via d’uscita laterale, la quale si è rivelata un cortile chiuso. Le immagini dei carabinieri che lo arrestano e gli danno un colpo in testa con lo scudo di plexiglas oggi si riescono a trovare facilmente in Rete.

 

Per il resto della giornata è stato trasportato assieme ad altri manifestanti, prima allo Spazio Fiere e poi a Forte San Giuliano, dove, oltre a essere minacciato e malmenato ripetutamente fino a perdere conoscenza, è stato identificato. Durante la notte è stato caricato di nuovo su un furgone e trasportato in cella, a Pavia. «E comunque quel clak aveva qualcosa di rassicurante. Mi avevano chiuso dentro, ma in un certo senso ero io ad averli chiusi fuori», ha scritto poi nel suo diario dei tre giorni di carcere, pubblicato in appendice al libro “Noi della Diaz” del giornalista Lorenzo Guadagnucci. Verrà liberato solo il lunedì successivo, con l’invito del gip a non ripresentarsi a Genova in occasione del funerale. Invito a cui lui ha risposto ignaro: «Quale funerale?».

 

Negli anni successivi, Fornaciari a Genova è tornato e ritornato per gli anniversari della morte di Carlo Giuliani e di tutto ciò che è avvenuto in quei giorni di violenza politica intrastatale. E lui, ripete, è tra chi l’ha presa bene.