Il fronte ucraino

«Io, un clown nelle zone di guerra. Armato solo di un naso rosso»

di Erica Manna   4 luglio 2024

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Con una valigetta piena di magie, dal 2009 Marco Rodari porta la meraviglia nei territori di crisi: Gaza, Siria, Iraq e nove volte in Ucraina. «In un Paese dove tremilacinquecento scuole sono andate distrutte, qualche scintilla di vita resiste»

L’ultima volta che è stato a Izjum era quasi due anni fa. Il 12 settembre, per l’esattezza: «Una data che non posso dimenticare. Un paio di giorni prima l’esercito ucraino aveva riconquistato il territorio. E poi hanno trovato una fossa comune. Io ero lì, mentre il vescovo benediva le salme, una dopo l’altra. Quattrocentoquaranta cadaveri. Ho visto tanti luoghi di guerra, in questi anni. Ma quelle persone che venivano estratte da sotto terra, legate, e tanti erano bambini, sono un’immagine che non mi lascerà più». Marco Rodari in queste settimane è tornato lì: in Ucraina. È la sua nona volta, da quando la Russia ha invaso il Paese, il 24 febbraio 2022: e la sua missione, oggi, è ancora più necessaria. Marco ha 48 anni, è originario di Leggiuno, in provincia di Varese, e fin dall’inizio di questo conflitto è andato sul campo. Ma sul suo giubbotto antiproiettile c’è una scritta diversa dalle altre: «Clown Il Pimpa». Anzi, «claun», all’italiana.

 

È dal 2009 che Rodari porta il suo naso rosso e una valigetta piena di magie nei luoghi di guerra: Gaza, Siria, Iraq. E Ucraina. «In questi mesi ho visto il Paese cambiare – racconta – e ne avverto tutta la stanchezza. C’è una sensazione non detta: la paura della sconfitta. Ma nelle città e nei piccoli borghi vedo anche una nuova vitalità: una quotidianità che si riaccende, nonostante tutto. Nei modi più impensabili».

 

Rodari parla da Izjum, la città martire. La regione è quella di Kharkiv, al confine con il Donbass. A meno di cento chilometri c’è Bakhmut: la città il cui destino è stato a lungo in bilico. Volodymyr Zelensky, al G7 di Hiroshima nel maggio 2023, ammise implicitamente la sconfitta: «Ormai Bakhmut è solo nei nostri cuori». Izjum porta tutte le cicatrici di quell’amputazione. Qui c’era una biblioteca: distrutta. «I bombardamenti hanno frantumato tutti i vetri, scardinato le finestre, le porte. Alcuni muri e il pavimento avevano preso fuoco – continua Rodari – ma i libri si sono salvati. Così, ho organizzato una raccolta fondi, attraverso la mia associazione “Per far sorridere il cielo”». Infissi, finestre, riscaldamento: tutto riparato. E uno spazio inutilizzato è stato riempito di libri per ragazzi. «Qui è nata la nostra “Meraviglioteca”, una biblioteca per i più piccoli; in città, i bambini sopravvissuti sono circa un migliaio». In questi giorni, Marco ha festeggiato qui l’inaugurazione con uno spettacolo. C’era anche il sindaco della città. E, naturalmente, i bambini. «Tanti di loro avevano dato una mano nella sistemazione: c’era voglia di tornare alla vita».

 

Di avere un dono, Marco Rodari l’ha capito a quattordici anni: riusciva a fare sorridere, senza sforzo. L’altra lezione l’ha imparata quando dagli ospedali e dalle zone povere del mondo è arrivato per la prima volta in un Paese in guerra: meglio non avere programmi. Perché «bruciano energie e non ha senso farne, se pensi di andare in un posto, ma poi la strada all’improvviso non esiste più». Da quando ha diciotto anni si definisce «una persona a disposizione». Il nome «Il Pimpa» è una questione quasi ereditaria, visto che il soprannome di suo nonno era «Pin» e quello di suo padre «Pinpin». Assieme a missionari, associazioni e ong gira il mondo provando a portare leggerezza dove non ce n’è affatto.

 

La prima volta che Rodari è partito per l’Ucraina è stata nel marzo del 2022, nemmeno un mese dopo l’inizio del conflitto. «Quella volta il mio viaggio è iniziato da Zaporizhzhia, poi sono arrivato nel Donbass, soprattutto nell’area di Donetsk, Kramatorsk e piccoli villaggi». In guerra è difficile fare progetti: «Ci stiamo muovendo in paesi difficili da raggiungere – racconta – stiamo con i bambini un’ora e poi ci dirigiamo in un altro luogo a incontrarne altri». Marco usa il plurale, perché nei suoi movimenti è accompagnato da volontari che portano anche cibo, acqua, farmaci: «Da due anni abbiamo formato un gruppo compatto; sempre le stesse persone, fortunatamente ancora vive. Rischiamo, sì: ma in molti casi se non arrivi con il cibo è la popolazione a morire».

 

Marco racconta che a sorprenderlo, ogni volta, è come la sua magia funzioni sempre. Basta un piccolo gioco, a volte anche un sassolino da nascondere e far riapparire, e l’orrore intorno sembra evaporare. «Ti presenti con il naso rosso e nei bambini vedi esplodere il delirio della gioia; è una cosa che mi dà forza, fiducia. Fare il clown è fondamentale anche per me: perché non sono solo i bambini ad andarsene con la fantasia, in quel momento». Dopo due anni di conflitto, però, qualcosa si è inceppato. «Senti la stanchezza che cresce. Una sensazione palpabile, appiccicosa, di abbandono – confessa – sono stato in un centro per bambini nel Donbass, a Kostiantynivka. Qui ho rivisto una bambina di cinque anni che avevo conosciuto in estate: aveva una vivacità incredibile. Ma questa volta avevano appena bombardato la stazione ferroviaria, a cinquecento metri da lì. E quella bambina era diversa: come spenta».

 

Eppure, in un Paese dove tremilacinquecento scuole sono andate distrutte, qualche scintilla di vita resiste. «In questi giorni, nei villaggi più dispersi, vedo che la quotidianità inizia a riaccendersi. Nell’inverno passato non c’era nulla, l’emergenza umanitaria era tale che la priorità era sopravvivere. Adesso, invece, intravedo segni di speranza, di senso. A Pokrovsk, un prete ha costruito una grande tenda e una stufa iper-artigianale. In Ucraina, ormai da due anni le lezioni al fronte si fanno online: gli edifici scolastici sono stati rasi al suolo, non ne ho più visto uno in piedi. Eppure qui, sotto questa tenda, i bambini fanno lezione. La meraviglia è ancora possibile».