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13 agosto, 2025Sei fonti avrebbero confermato ad Associated Press l’esistenza di colloqui tra i due Stati per l'espulsione forzata dei palestinesi dalla Striscia. Il piano implicherebbe gravi violazioni del diritto internazionale
A Gaza, i palestinesi vivono un presente di fame, bombe e disperazione. Ma il futuro non sembra affatto migliore. Secondo quanto riporta l’Associated Press, Israele starebbe discutendo con il Sud Sudan la possibilità di trasferire forzatamente l’intera popolazione della Striscia in un Paese già devastato da guerre e carestie. Sei fonti vicine al dossier hanno confermato all’agenzia statunitense l'esistenza di una trattativa tra i due Stati. Se realizzato, il piano porterebbe all'espulsione forzata di 1,5 milioni di persone da un territorio sotto assedio e quasi interamente distrutto verso un Paese afflitto da violenze, instabilità politica e una delle peggiori crisi umanitarie al mondo.
In passato, Israele avrebbe sondato soluzioni simili con altre nazioni africane, tra cui Sudan, Somalia e Somaliland, senza però renderne noti gli esiti. L'ultimo tentativo sarebbe stato fatto con la Libia, definita la "destinazione ideale" per il reinsediamento dei gazawi dal ministro dell'Agricoltura israeliano Avi Dichter. L'Esercito nazionale libico, la milizia che controlla la Libia orientale, ha invece smentito le voci che parlavano di un accordo segreto. Ma la strada è tracciata e il primo sostenitore di questa soluzione è proprio il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. "Penso che la cosa giusta da fare, anche secondo le leggi di guerra che conosco, sia permettere alla popolazione di andarsene e poi attaccare con tutte le forze il nemico che rimane lì", ha dichiarato in un'intervista all'emittente televisiva i24.
La situazione umanitaria in Sud Sudan
Il Sud Sudan è attualmente attraversato da conflitti armati, fame diffusa e disastri ambientali che di certo non ne farebbero la destinazione ideale per accogliere la popolazione della Striscia. Nel marzo 2025, nello Stato di Upper Nile, violenti scontri tra l’esercito governativo e la milizia Nuer “White Army” hanno portato all’arresto del vicepresidente Riek Machar, di fatto sospendendo l’accordo di pace del 2018 e riaccendendo il timore di una nuova guerra civile. A maggio dello stesso anno, un ospedale di Medici Senza Frontiere a Fangak è stato bombardato, causando almeno sette morti: un episodio che le Nazioni Unite hanno definito un possibile crimine di guerra. La comunità internazionale osserva con preoccupazione e il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha prorogato fino al 2026 l’embargo sulle armi nel tentativo di arginare l’escalation.
Oltre due terzi della popolazione — circa 9,3 milioni di persone — necessita di assistenza, con 1,8 milioni di sfollati interni e oltre 2,2 milioni di rifugiati all’estero. La malnutrizione acuta colpisce 2,1 milioni di bambini sotto i cinque anni e più di un milione di donne incinte o in allattamento, soprattutto nelle regioni del Greater Upper Nile e del Bahr el Ghazal. A ciò si aggiunge la crisi climatica, con inondazioni catastrofiche che nel 2024 hanno colpito più di 735 mila persone e costretto oltre 65 mila allo sfollamento.
Cosa dice il diritto internazionale
Sia i palestinesi che le organizzazioni per i diritti umani hanno sempre respinto proposte simili, considerandole violazioni del diritto internazionale, configurabili come crimini di guerra o contro l’umanità. L’espulsione forzata di civili da un territorio occupato è infatti vietata in ogni circostanza. L’articolo 49 della IV Convenzione di Ginevra proibisce a una potenza occupante di deportare o trasferire la popolazione del territorio occupato al di fuori di esso, qualunque sia la motivazione. Se Israele portasse avanti un piano di spostamento di massa dei palestinesi da Gaza, questa azione costituirebbe, secondo lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale, un crimine di guerra e, se sistematica o su larga scala, un crimine contro l’umanità. Netanyahu parla di "migrazione volontaria", ma una simile operazione priverebbe i gazawi del loro diritto all’autodeterminazione e potrebbe essere interpretata come una forma di pulizia etnica. Circostanze che di certo non aiuterebbero Tel Aviv nel rispondere delle proprie azioni nel procedimento davanti alla Corte internazionale di giustizia, dove Israele è accusato di genocidio. La Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio include, tra i possibili atti genocidari, il trasferimento forzato di una popolazione quando volto a distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Il fatto che il Paese di destinazione ipotizzato — il Sud Sudan — si trovi già in una condizione di grave crisi umanitaria, con conflitti armati e infrastrutture al collasso, costituisce poi un'ulteriore violazione. Sarebbe leso anche il principio di non-refoulement, che vieta di inviare persone verso luoghi dove rischiano persecuzioni, violenze o condizioni di vita disumane.
Dal Sud Sudan, intanto, non è ancora arrivata alcuna conferma ufficiale. Il ministero degli Esteri israeliano si rifiuta di commentare, mentre Washington ha dichiarato di non voler entrare nel merito di colloqui diplomatici riservati.
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