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25 ottobre, 2025Gli Stati Uniti non hanno più il monopolio dell’intelligence. La Cina non è più la “minaccia da contenere”, è un competitor alla pari
Che succede a Langley? Nei corridoi del quartier generale della Cia gira una voce che nessuno conferma ma tutti sussurrano: il mitico China Mission Center, la struttura creata per “capire e contenere” Pechino, potrebbe presto finire nel tritacarne delle riorganizzazioni. “Una Ferrari che non parte”, ironizza una fonte americana. Traduzione: montagne di budget, pochi risultati, e la Cina che nel frattempo ha imparato a spiare meglio degli americani.
Quando Biden e il direttore William Burns inaugurarono il Centro nel 2021, l’obiettivo era chiaro: tenere la Cina sotto il microscopio 24 ore su 24. Ma la realtà è diventata un film diverso. In tre anni, il ministero della Sicurezza di Stato cinese ha smantellato mezza rete di informatori americani. “Ogni volta che metti un agente sul campo, te lo ritrovi sui social cinesi dopo due settimane”, scherza amaro un ex ufficiale Cia.
Le fonti parlano di operazioni bruciate, informatori arrestati, algoritmi cinesi capaci di riconoscere le abitudini digitali delle spie americane. Langley, abituata a infiltrare, si ritrova spiata. Il “Centro Cina” era la perla della ristrutturazione Burns: decine di linguisti, esperti di cyber, squadre di analisti speciali. Oggi molti di quei contratti sono congelati.
Una fonte del Congresso rivela che la Casa Bianca ha chiesto una “review operativa”: cioè capire se il giocattolo serve ancora. “Il problema”, confida un insider del Pentagono, “è che spendiamo miliardi per ottenere ciò che Pechino pubblica su Weibo. E quando ci arriva, è già vecchio”. L’intelligence americana si ritrova sorda, cieca e costosa: una specie di elefante digitale che rincorre un drago volante. Ufficialmente, la Cia non chiude niente. A Langley la parola d’ordine è “realignment”. Tradotto: tagliare senza farlo sembrare un taglio. “Riallineamento delle priorità”, recita la formula magica. In realtà, significa una cosa sola: meno spie umane, più intelligenza artificiale.
Perché oggi si spia con gli algoritmi, non con i trench. Solo che, come nota con sarcasmo un veterano dell’agenzia: “Il computer non rischia la vita, ma neanche ti porta informazioni su Xi Jinping che valga la pena leggere". La verità che nessuno dice a Washington è semplice: gli Stati Uniti non hanno più il monopolio dell’intelligence. La Cina non è più la “minaccia da contenere”, è un competitor alla pari. Ha un’economia che regge, una tecnologia che sorpassa, e una contro-intelligence che terrorizza chiunque tenti di mettere piede a Pechino. Nei briefing interni circola una nuova parola: “coexistence”. Non più “containment”, ma convivenza forzata. Tradotto dal linguaggio della geopolitica: il confronto costa troppo e non funziona più.
Un ex analista Cia riassume con amarezza: “Abbiamo costruito un impero per controllare il mondo. Ora il mondo si controlla da solo". Nel silenzio ovattato dei corridoi di Langley, qualcuno fa battute per sdrammatizzare:“Abbiamo creato il China Mission Center per capire la Cina. E abbiamo capito solo che la Cina capisce noi”. Il vero dramma è che la Cia non può ammettere il fallimento. Così il centro non si chiuderà mai “ufficialmente”: verrà “integrato”, “riorganizzato”, “digitalizzato” — scegliete il verbo che preferite. Ma per chi lavora all’interno, il messaggio è chiaro: la stagione del “containment” è finita. La guerra dei dati è appena iniziata. E per una volta, l’America non è quella che guarda tutti. È quella che tutti guardano.
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