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31 dicembre, 2025Il gruppo con base in Turchia è specializzato nella fornitura ai clan di mezza Europa, grazie a una ramificata rete di alleanze. E ha invaso il mercato con le pistole modificate
Negli ultimi anni in Italia si sono susseguite notizie di arresti di personaggi più o meno importanti legati alla mafia turca e in particolare al gruppo “Dalton”, un’organizzazione criminale con base a Istanbul ma con ramificazioni in diversi Paesi d’Europa. Tra le accuse rientra anche il traffico illecito di armi, un business che collega Turchia e Italia, passando per i Balcani.
In Turchia si stima ci siano 40 milioni di armi da fuoco. Un dato probabilmente troppo prudente, secondo la Fondazione Umut, l’unica organizzazione turca a tenere traccia della proliferazione delle armi nel Paese. Uno degli indicatori, in assenza di cifre certe sono le operazioni di polizia.
Solo a novembre, la polizia turca ha sequestrato più di 3 mila pistole – la maggior parte delle quali formalmente a salve ma modificabili agevolmente – in 41 province, con una maggiore incidenza in aree già note per la proliferazione di armi come Adana e Van, rispettivamente nel Sud-Est turco e al confine con l’Iran.
Il traffico non ha sempre origine in Turchia. «Il Paese è punto di collegamento tra il Medio Oriente e l’Europa grazie alla sua posizione geografica. Le armi prive licenza sono quelle più richieste dalla criminalità, per la sicurezza personale o anche per la gestione del traffico di esseri umani», spiega Yasemin Inceoğlu della Fondazione Umut. «Sebbene la Turchia abbia intensificato i controlli, ci sono ancora delle lacune nel monitoraggio, nel tracciamento delle auto e nelle ispezioni alla frontiera». Internet poi ha reso più facile accedere al mercato nero delle armi.
Come spiegano i ricercatori Aleksandar Srbinovski e Trpe Stojanovski nel loro report “Neighbours of conflict”, le armi che partono dalla Turchia provengono spesso da Siria e Iraq e arrivano in Europa passando per Bulgaria e Grecia. Le armi leggere, come pistole e fucili, sono quelle più comunemente vendute sul mercato nero, ma nelle aree in cui è radicata la criminalità organizzata, i ricercatori hanno notato la presenza di armi da fuoco più avanzate (come le Glock e i fucili moderni), utilizzate per rapine, omicidi e lotte tra bande. In alcuni casi sono acquistate da soggetti criminali anche per una questione di prestigio personale. Il prezzo di queste “merci” cresce all’aumentare delle distanze dal paese di provenienza: un fucile AK-47 può essere venduto a mille euro nei Balcani, ma il suo costo sale fino a 4mila euro nel Nord Europa.
«Le armi non vengono contrabbandate da un’organizzazione criminale specifica, anche perché non hanno bisogno di una rete logistica ad hoc. Sono considerate un bene complementare, un traffico che si lega a quello per esempio di esseri umani o di droga», spiega Srbinovski, ricercatore del Global initiative against transnational organized crime.
Un nome importante legato ai traffici illeciti che collegano Italia e Turchia è sicuramente quello di Baris Boyu, leader del gruppo Dalton. Arrestato a gennaio 2024 a Milano, è stato trovato in possesso di un’arma mentre era in macchina con la moglie. È stato messo ai arresti domiciliari con braccialetto elettronico prima a Crotone e poi a Viterbo. Da qui avrebbe continuato a dirigere le attività del suo clan. In un’intercettazione ambientale, Boyun si vantava di avere a disposizione un ampio arsenale, formato anche da kalashnikov e bombe a mano, molte delle quali in Svizzera. In un’altra intercettazione ha anche ammesso di avere un produttore d’armi personale per rifornire i propri affiliati. Come ha scritto il gip Roberto Crepaldi le intercettazioni «dimostrano inequivocabilmente non solo l’ampia dotazione di armi in Italia e in Europa ma anche in Turchia», e anche che si tratta di armi, sia comuni che da guerra, che vengono importate in Italia e in altri Paesi europei e vendute ad altre organizzazioni.
Sempre a Viterbo, a inizio settembre, altri due cittadini turchi presumibilmente legati al gruppo Dalton e trovati in possesso di una pistola Browning calibro 9 e di una mitraglietta d’assalto Tokarev, oltre a decine di munizioni, sono stati arrestati con l’accusa di traffico internazionale di armi. Un mese dopo, la polizia greca ha arrestato altre 13 persone di nazionalità turca dopo aver sequestrato un grosso quantitativo di armi da fuoco presumibilmente destinato ai Dalton attivi in Europa.
Il gruppo nato a Istanbul è diverso rispetto alla tradizionale mafia turca. Poco radicato sul territorio e con meno affiliati rispetto alle organizzazioni storiche, si dedica in Turchia principalmente a omicidi e intimidazioni su commissione. I “soldati” sono principalmente ragazzi dei 15-16 anni provenienti dalle fasce più povere della popolazione e con nulla da perdere. La rete dei Dalton però si sta ampliando al di fuori dei confini turchi, grazie ad alleanze con le mafie locali sia in Italia che nei Balcani.
Come spiega il criminologo Vincenzo Musacchio, la Daltonlar Çetesi rappresenta le famiglie mafiose turche Cantürk e Baybaşin, entrambe con un ruolo ancora oggi rilevante nel mercato dell’eroina e delle armi a livello europeo e mondiale. «Le mafie turche sono la principale porta d’ingresso nel nostro Continente sia per le droghe sia per il traffico di armi e esseri umani provenienti dall’Oriente. In Italia per ora sono ancora subalterne alle mafie autoctone anche se negli ultimi anni stanno acquisendo maggiore potere».
Non costituisce un argine sufficiente la ratifica da parte della Turchia dei trattati e la stipula di accordi di cooperazione, perché, come spiega Musacchio, si tratta di atti formali a fronte delle connessioni tra le mafie e il governo.
Intanto, un altro preoccupante trend sta emergendo nel mondo del traffico di armi che parte dalla Turchia: la proliferazione di pistole a gas/segnalatori prodotte localmente e contrabbandate in Europa, dove vengono poi convertite in armi da fuoco. Si tratta di armi economiche e più facili da esportare anche legalmente, il che permette ai gruppi criminali di agire in una zona grigia più difficile da controllare e in grado di garantire guadagni a rischio relativamente basso.
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