La caduta del regime di Assad non ha portato la pace in Siria. E la resistenza dei curdi si scontra con gli interessi turchi. Parla la comandante dell’esercito femminile Ypj

Sono un lungo ponte e ore di attesa a separare l’Iraq dalla Siria. Il confine tra Kurdistan iracheno e l’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord Est è sospeso sull’Eufrate. Al di là della frontiera, il Rojava si presenta con chilometri infiniti di montagne intervallate da distese di steppa. Le città più grandi e fornite sono poche, il resto sono villaggi affamati dalla povertà e da una guerra decennale mai del tutto finita.

 

Ad Hasake, uno dei pochi centri urbani della regione, c’è il quartier generale delle Ypj, l’unità di difesa delle donne che dieci anni fa insieme alle Ypg, l’unità di difesa del popolo, liberarono Kobane dagli uomini di Daesh. Rojhelat Afrin, comandante delle Ypj, ha alle spalle la stella rossa dipinta su tela verde della bandiera dell’unità femminile delle Forze Democratiche Siriane.

 

Qual è la situazione del Nord Est della Siria dopo la caduta del regime di Bashar al-Assad?

 

«Da due mesi ci sono pesanti scontri e bombardamenti in tutta la regione. La resistenza qui nel Nord Est della Siria della nostra gente, che dieci anni fa insieme alla coalizione internazionale aveva liberato Kobane dall’Isis, è la stessa che oggi lotta contro la Turchia e le sue milizie proxy. Quando il regime di Assad è caduto, Shebah è stata attaccata dalle milizie dell’Esercito Nazionale Siriano (Sna), siamo stati costretti a evacuare la nostra gente in altri cantoni. Diverse fazioni hanno attaccato anche Tal Rifaat: hanno nomi e uniformi diverse ma la loro ideologia, le loro azioni e le loro pratiche sono sempre le stesse e sono tutte collegate a quelle dell’Isis. Recentemente anche Manbij è stata attaccata dalle stesse fazioni. Attualmente sono in corso pesanti offensive da parte dell’Sna alla diga di Tishreen e al ponte Qara Qwzaq. Le fazioni che stanno attaccando la nostra regione seguono l’agenda turca e ricevono istruzioni direttamente dagli ufficiali turchi. Ogni giorno la Turchia bombarda i civili che si trovano nella diga».

 

Come ha reagito la regione all’avanzata di Hts verso Damasco?

 

«In 10 giorni Hts è riuscito a sconfiggere il regime siriano e a prendere il potere. Con la caduta del regime di Assad, i festeggiamenti sono stati ovunque, la nostra gente è stata davvero felice di questa notizia, perché anche gli abitanti del Rojava hanno sofferto molto a causa del regime. Ma adesso la situazione in Siria è molto caotica. Le fazioni che ci stanno attaccando approfittano del caos per cercare di prendere il controllo delle nostre regioni».

 

Qual è l’obiettivo della Turchia?

 

«Tutte queste prove, gli attacchi, gli scontri e il reclutamento di mercenari proxy in Siria dimostrano che l’obiettivo della Turchia è occupare la regione e realizzare qui i propri progetti. La preoccupazione più grande per noi è che l’Isis abbia l’opportunità di emergere di nuovo. Sappiamo tutti che è stato sconfitto militarmente in battaglia ma, come mentalità e come ideologia, è ancora qui. Sappiamo che l’obiettivo della Turchia è quello di minare il progetto dell’Amministrazione autonoma e già in passato per farlo ha supportato l’Isis».

 

Qual è il vostro rapporto con Hts e il nuovo governo in formazione a Damasco?

 

«Abbiamo i nostri canali di comunicazione con Al Jolani. È molto importante che l’attuale governo di Damasco prenda in considerazione 13 anni di coraggiosa lotta di resistenza e di martiri che hanno pagato con la morte la libertà del Rojava. Sappiamo che molte potenze regionali, oltre all’Isis, vorrebbero vedere uno scontro tra noi e l’attuale governo di Damasco. Ma crediamo che qualsiasi scontro o conflitto non sarebbe nell’interesse del popolo siriano. La nostra richiesta è di unificare il territorio siriano e di dare l’opportunità a tutte le comunità e alle minoranze di partecipare al processo politico e alla definizione di una nuova costituzione per la Siria, che garantisca i diritti di ogni siriano. Dobbiamo concentrarci sui diritti delle donne e dei giovani, sulla libertà politica e sull’opportunità per tutti di avere un ruolo nella nuova Siria. Se le popolazioni del Nord e dell’Est della Siria e i loro rappresentanti saranno esclusi da questo processo, ovviamente non lo accetteremo. Inoltre, nell’Amministrazione Autonoma abbiamo adottato il principio per cui metà della leadership è composta da uomini e l’altra metà da donne. Non possiamo rinunciare a questo sistema democratico dopo 13 anni di pratica. È quindi molto importante discutere di tutte queste questioni con l’attuale governo di Damasco».

 

Damasco ha richiesto di smantellare le Syrian democratic forces. Cosa pensa al riguardo?

 

«Ovviamente i colloqui con Al Jolani riguardano anche la questione dell’Sdf e delle Ypj. Queste forze hanno combattuto e difeso la regione per anni, hanno protetto la popolazione e l’intera umanità dalla minaccia dell’Isis. Il futuro di queste forze dovrebbe essere discusso, ma se c’è una cosa su cui non facciamo un passo indietro è la partecipazione delle donne all’interno dell’esercito. A tal proposito vorrei fare riferimento ad Aisha al-Dibs, la donna che è stata nominata dall’attuale governo di Damasco responsabile degli affari delle donne in Siria. Ha rilasciato dichiarazioni molto deludenti sulle donne e sul fatto che il loro compito è quello di rimanere nelle loro case e prendersi cura dei loro uomini, dei loro figli e delle loro famiglie. Sono state deludenti per tutte le donne della Siria, alawite, arabe, cristiane, curde, musulmane».

 

Cosa immaginate per il futuro delle donne in Siria?

 

«Abbiamo grandi preoccupazioni relative al background di Hts, che in passato ha avuto legami con al-Qaeda. Per l’attuale governo di Damasco rilasciare dichiarazioni come “apprezziamo e rispettiamo i diritti delle donne” non è sufficiente. Il futuro delle donne in questo Paese è democratico e sappiamo tutti che se le cose non vengono risolte in modo democratico, e se non si discutono democraticamente, allora la categoria che sarà maggiormente oppressa saranno le donne. Le Ypj non sono solo una forza militare. Ypj è un’entità formata dalle donne di questa regione. Ci siamo fidate di noi stesse e continueremo a combattere per l’umanità e per il nostro popolo. Tutti i risultati che abbiamo ottenuto negli ultimi anni ci incoraggiano a continuare questa lotta iniziata dieci anni fa. La situazione in Siria è molto caotica e il futuro è incerto, ma speriamo che le donne possano partecipare alla futura transizione democratica».

 

Pensate che le donne faranno parte di un futuro esercito nazionale siriano?

 

«Pensiamo che debba assolutamente accadere perché, se le donne non avranno la possibilità di difendersi al pari degli uomini, saranno di nuovo oppresse. Crediamo, inoltre, che il ministro della Difesa debba essere una donna».

 

Con il nuovo governo di Damasco può esserci un dialogo davvero costruttivo?

 

«Siamo molto preoccupati perché sappiamo che la Turchia sta cercando di avere accesso all’interno di Hts. Se Al Jolani non darà spazio a interventi esterni, crediamo davvero che insieme potremo costruire una Siria unificata, ma se Hts aprirà la strada ai legami con le potenze regionali, è ovvio che ci saranno dei conflitti tra noi. Il dialogo è ancora all’inizio»

 

C’è ancora bisogno del supporto americano?

 

«Se come siriani saremo in grado di risolvere i nostri problemi, inclusa la questione dell’Isis, non ci sarà bisogno di alcuna potenza esterna. Se non sarà così, allora la coalizione globale dovrà rimanere fino alla fine per limitare la minaccia dell’Isis nei confronti del mondo intero, non solo del nostro popolo».

 

 

Colloquio con Rojhelat Afrin