Sono due protagonismi entrati subito in rotta di collisione. Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron: da una parte i sentimenti anti-francesi che da sempre serpeggiano nella destra italiana (Fratelli d’Italia e Lega), dall’altra gli atteggiamenti di scarsa simpatia o decisamente antipatizzanti nei confronti del governo di Roma dopo la vittoria elettorale meloniana del 2022. «Protagonismo» è l’espressione utilizzata dalla premier italiana alludendo polemicamente al capo di Stato francese. Ma allo stesso modo può essere definita la linea di Meloni, alla ricerca di un ruolo dell’Italia in un contesto internazionale ed europeo e mondiale dove tutto cambia. E dove Roma e Parigi giocano le proprie carte, in una competizione che spinge il governo di destra-centro a condurre un gioco di equilibrismi tanto ambizioso quanto rischioso, ma che è all’origine anche di alleanze che potrebbero rivelarsi più durature.
Nasce da qui – parallelamente al rapporto con Donald Trump, anche questo in competizione con Parigi – il tentativo di una corsia preferenziale che unisca Italia e Germania. È il cantiere sul quale Giorgia Meloni ha deciso di investire buona parte delle risorse della diplomazia italiana, dopo le elezioni che il 23 febbraio si sono svolte a Berlino. Sia pure faticosamente, alla Cancelleria è approdato Friedrich Merz, il leader cristiano-democratico con il quale la destra del nostro Paese sapeva fin dal primo momento di avere maggiori chance di dialogo e di accordo rispetto al suo predecessore Olaf Scholz. Conta in primo luogo l’economia, con un interscambio commerciale tale da giustificare, da solo, un’entente cordiale di particolare valore. Conta, non meno, la realpolitik: si tratta, appunto, da parte italiana, di contrastare la Francia di Macron: non a caso, di «protagonismo» francese Meloni ha parlato proprio ricevendo a Palazzo Chigi Merz, dopo che il Cancelliere peraltro era già stato a Parigi e a Varsavia, fissando con questi primi incontri europei le priorità della diplomazia tedesca, al di là del giallo politico-giornalistico delle rivelazioni di Welt sull’esclusione, per mano socialdemocratica, dell’Italia dai partner europei con i quali il nuovo governo di grande coalizione intende intrattenere relazioni strategiche.
Più che nei confronti del nostro Paese, il Cancelliere «mostra una particolare attenzione per i rapporti con la Francia e con la Polonia», spiega l’ambasciatore Michele Valensise, presidente dell’Istituto Affari Internazionali. Insomma, se l’obiettivo è quello di evitare un nuovo asse Berlino-Parigi siamo fuori strada. Piuttosto, l’Italia deve trovare il modo di inserirsi. «Il rapporto franco-tedesco ha radici profonde e molto particolari, ma – aggiunge Valensise— non può essere chiuso all’apporto di alleati rilevanti come l’Italia. Più che temere di essere lasciati ai margini, dovremmo favorire le convergenze a livello europeo. Ne abbiamo titolo e capacità e in fondo è questo il ruolo che la stessa Europa si aspetta che noi svolgiamo».
La preoccupazione prevalente è invece quella di arginare il capo dell’Eliseo, fino al punto di escludere quasi del tutto l’Italia dall’unica iniziativa europea che è in atto per difendere le ragioni ucraine. «L’azione dei “volenterosi” per l’Ucraina – sottolinea a L’Espresso l’ambasciatore Giampiero Massolo – tiene conto del doppio binario: da un lato si giova del coordinamento europeo svolto dalla Commissione con il programma Readiness 2030, dall’altro punta sulle capacità nazionali per offrire le necessarie garanzie di sicurezza a Kiev. Sarebbe un peccato se l’Italia se ne volesse estraniare. Intanto, perché gli assenti non possono far sentire la loro voce. Poi perché in avvenire questa formula potrebbe essere molto utile anche a noi, in caso di crisi nel Mediterraneo Sud orientale o nei Balcani. Infine, perché se lo aspettano gli stessi americani, ai quali un’Europa più disponibile ad assumersi responsabilità fa comodo. Il rischio è di trovarsi in mezzo al guado: non compiutamente europei e neppure organici a un Presidente Trump che va per la sua strada».
È un percorso a zig zag quello del governo italiano: prima la partecipazione al vertice di Londra del 2 marzo ma con gli attriti sull’invio dei militari in Ucraina, un’eventuale missione che fin dal primo momento ha visto l’Italia contraria, poi il 10 maggio la clamorosa assenza di Meloni a Kiev con il bis avvenuto sei giorni dopo a Tirana quando si è tenuto un nuovo vertice senza la partecipazione italiana: uno strappo ancora più grave considerando la progressiva convergenza con Trump del fronte guidato da Macron. Infine, il 19 maggio l’improvviso coinvolgimento nella call telefonica con il tycoon, e per intercessione dello stesso Trump su richiesta italiana, poche ore prima del colloquio con Putin, e dopo che la presidente del Consiglio aveva ospitato il vicepresidente Vance insieme con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen a Palazzo Chigi, anche a delineare un’alternativa alle riunioni patrocinate da Macron.
Resta un punto critico, conferma Lucio Malan. «Vale l’interesse dell’Italia. Se i “volenterosi” – sottolinea il capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato – si trovano su posizioni compatibili con le nostre molto bene, altrimenti deve essere chiaro che non siamo al traino di nessuno. E non dimentichiamo che fra noi europei – Italia, Francia, Germania, Polonia e Gran Bretagna – possiamo parlare quanto vogliamo ma la guerra è fra Russia e Ucraina. Aggiungo che Macron ha evocato l’invio dei militari a Kiev troppe volte e questa insistenza per l’Italia costituisce un ostacolo».
È una linea che consente un ricompattamento tra Fratelli d’Italia e Lega: non a caso Matteo Salvini è stato l’unico nel governo e nella maggioranza a rincuorare la premier subito dopo lo strappo di Tirana. Se per Salvini l’isolamento in Europa è un rischio calcolato, in funzione anti-Macron e anche anti-Ursula, per l’opposizione è invece inevitabilmente motivo di scontro. «L’Italia ha perso il treno dell’Europa», denuncia Elly Schlein. «C’è un conflitto tra Meloni e Macron che evidentemente non fa bene all’Europa. Così come i personalismi – osserva Carlo Calenda — non fanno bene all’Europa. In questo caso poi credo che Meloni e Macron abbiano il dovere di incontrarsi perché Italia e Francia superano i loro presidenti e sono due grandi Paesi europei».
Peraltro, l’Europa, come soggetto politico, ormai non è riconducibile solo a Bruxelles. «Si sviluppa – avverte Massolo – meno attraverso le istituzioni e procedure tradizionali e molto di più attraverso collaborazioni intergovernative di scopo e a geometria variabile che coinvolgono anche Paesi non membri, a cominciare dal Regno Unito. Se vogliamo svolgere un ruolo, non possiamo estraniarci da questa partita: concorrere a rafforzare il più possibile le istituzioni e nel contempo partecipare agli schemi intergovernativi. Vale soprattutto per la difesa e sicurezza, vero embrione dell’Europa futura». La posta in gioco è molto più alta della sfida con Parigi.