Se torno a casa vivo, avrò vinto la guerra», si ripetono a vicenda Yuriy, nome di fantasia scelto per proteggerne l’identità e i soldati ucraini che da ormai tre anni operano con i droni al fronte. «Siamo in una situazione di stallo», spiega, «non c’è via d’uscita se non continuare a lottare, anche se non saremo coronati dal successo».
Stabilire cosa significhi davvero “successo” per entrambe le parti del conflitto resta un’impresa complessa. Nel corso di un’intervista concessa per questo articolo, David H. Petraeus, ex direttore della Cia ed ex comandante delle forze americane in Iraq e Afghanistan, non ha dubbi: «L’Ucraina, se sostenuta in modo più sostanziale rispetto a quanto è stato fatto finora, potrebbe cambiare le dinamiche sul campo e convincere Vladimir Putin che la Russia non può ottenere ulteriori vantaggi a un costo accettabile, alla luce delle ingenti perdite già sostenute».
Infatti, mentre a Istanbul i colloqui tra le delegazioni dei due Paesi restano in stallo, il campo di battaglia racconta una realtà opposta. I numeri sono impressionanti: secondo uno studio del Center for Strategic and International Studies di Washington, entro la fine di giugno il numero di soldati russi tra morti e feriti, dall’inizio della guerra, potrebbe toccare quota un milione. Una cifra che renderebbe questa una delle guerre più sanguinose dell’era post-sovietica. Un dato che testimonia come la brutalità della guerra possa spingere uno Stato a lasciarsi guidare da narrazioni strategiche che ignorano il peso umano del conflitto.
Petraeus, che ha recentemente pubblicato “Conflict”, un saggio sulla trasformazione della guerra moderna, alla domanda su quanto sia rischioso, dal punto di vista della leadership, ignorare il costo umano nascosto dietro narrazioni politiche, risponde: «Non credo che sia questo il caso dell’Ucraina, ma mi chiedo se lo sia invece quello di Mosca». Anche Kiev ha subìto perdite significative, nonostante non renda pubblico il numero in dettaglio dei soldati caduti in combattimento. A febbraio, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha parlato di oltre 46.000 soldati ucraini uccisi, 380.000 feriti e “decine di migliaia” tra dispersi e prigionieri. Numeri che molti osservatori considerano una stima al ribasso: «Quasi certamente il numero delle perdite è più alto, perché le persone disperse non vengono considerate morte», afferma Yuriy, «La galleria del mio cellulare è ormai un obitorio».
Nonostante i numeri, secondo l’ex direttore della Cia Petraeus: «Le forze ucraine sono ancora assolutamente determinate e risolute, anche se provate dagli attacchi incessanti di bombe, artiglieria, droni che hanno dovuto sopportare. Come l’ex primo ministro ucraino Yatsenyuk ha osservato, l’Ucraina e il suo popolo sono “feriti ma non distrutti, stanchi ma non esausti”». Le recenti operazioni oltre confine testimoniano la tenacia del popolo come l’attacco agli aeroporti militari russi da Murmansk alla Siberia e al ponte di Crimea sembrano voler riaffermare una linea chiara: l’Ucraina non intende negoziare da una posizione di debolezza. «Queste operazioni sono profondamente simboliche: l’Ucraina non si sta semplicemente difendendo, ma sta prendendo l’iniziativa. Dimostrano che la Russia ha delle vulnerabilità reali. Il nostro obiettivo non è l’escalation, ma la giustizia», spiega il generale Oleksandr Pivnenko comandante della Guardia Nazionale dell’Ucraina, il corpo di gendarmeria nazionale ucraino e forza militare interna, e insignito del titolo di Eroe dell’Ucraina.
Anche sul piano tecnologico, la guerra è cambiata: mentre nel 2022 il conflitto era “uomo contro uomo”, oggi è passato a essere “sistema contro sistema”: «Se il 2022 è stato l’anno dell’artiglieria, il 2024-2025 è quello dei droni», spiega il generale Pivnenko. «I nostri Fpv, piccoli droni esplosivi, hanno già distrutto attrezzature russe per miliardi di dollari. Con dispositivi che costano 300 o 400 dollari riusciamo a neutralizzare veicoli corazzati che ne valgono centinaia di migliaia». Il numero di droni sul campo è triplicato in un solo anno: «I nostri droni hanno già distrutto molte attrezzature russe e continuiamo ad aumentarne l’efficienza: questa è la realtà della guerra moderna», aggiunge il generale. L’adattamento è in corso: sono nate unità specializzate in droni, centri di addestramento, nuove figure operative come il pilota Fpv. «L’Ucraina produce le tecnologie di domani per le guerre di oggi», sottolinea l’ex direttore della Cia Petraeus, «ed è per questo che il conflitto ucraino offre lezioni cruciali anche per l’Occidente. Non riesco a pensare ad alcun altro campo di battaglia al mondo oggi che offra così tante lezioni e spunti di riflessione sul futuro della guerra».
I soldati ora operano attraverso interfacce digitali, supervisionano sistemi automatizzati e vivono in uno spazio costante di sorveglianza, rischio e pressione decisionale con una pressione psicologica differente. «La guerra è cambiata tremendamente», afferma Yuriy, ex civile oggi comandante di una squadra di cinque uomini specializzati nel guidare droni, che opera nella regione di Kharkiv: «Soffriamo di disturbo da stress post traumatico, talvolta il morale è basso ma non abbiamo altra scelta che combattere».
Il soldato descrive una trasformazione radicale nella natura stessa del combattente: la sua unità comprende persone tra i 24 e i 40 anni, è composta interamente da uomini arruolati solo dopo l’invasione su vasta scala del 2022: «Nessuno di noi era nell’esercito prima del 24 febbraio del 2022. Siamo tutti civili che hanno imparato a combattere sul campo». Anche la sua formazione è stata improvvisata: «Può sembrare strano, ma mi stavo preparando alla guerra. Al lavoro avevo elaborato un piano in caso di invasione. Mi ero iscritto a corsi da cecchino, ma non ho fatto in tempo a finirli». La linea tra resistenza e cedimento dei soldati si misura spesso in pacchi di munizioni e batterie di droni. «La differenza la fanno i rifornimenti», dice con semplicità. «La guerra è costosa, la nostra economia è distrutta e non è paragonabile a quella della Russia. Dipendiamo dall’Occidente e dai suoi umori».
Anche per Petraeus la chiave rimane il supporto all’Ucraina: «Non saranno possibili negoziati significativi a meno che i sostenitori dell’Ucraina non facciano ancora di più per sostenerla rispetto a quanto fatto finora». E prosegue: «Cambiare le dinamiche e consentire negoziati seri su un cessate il fuoco duraturo dovrebbe essere l’obiettivo a breve termine», spiega Petraeus. Ma aggiunge anche un monito: «L’Occidente non può permettersi di vedere l’Ucraina perdere, perché i prossimi obiettivi di Vladimir Putin sarebbero la Moldavia e poi i Paesi della Nato, molto probabilmente la Lituania o un altro Stato baltico». Il prezzo da pagare non è solo una questione strategica, ma morale: «Non importa quanto paghiamo noi», conclude Yuriy, «importa quanto paga il mondo intero con i suoi valori».