Mondo
26 settembre, 2025In entrambe le guerre mondiali la Russia è stata decisamente schierata prima contro gli Imperi, poi contro la dittatura nazionalsocialista. Per questo, dopo l’invasione dell’Ucraina, la più grande operazione militare dal Secondo conflitto, si è tornati a parlare di declino dell’Occidente
Cosa accadde nel 1914? Scoppiò la Prima Guerra Mondiale. «Quello che crea allarme è che ci si muove in un crinale in cui anche senza volerlo si può scivolare in un baratro di violenza incontrollata». Queste le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella che il 10 settembre, da Lubiana, ha commentato le tensioni crescenti dopo che la Polonia ha denunciato di aver abbattuto droni russi nel suo spazio aereo. Il Presidente ha ricordato quanto avvenne nel 1914, con l'inizio della “Grande Guerra”, spiegando che «l'imprudenza dei comportamenti provoca conseguenze anche se non sono scientemente volute». Ma quali furono i fatti che portarono allo scoppio del primo conflitto mondiale?
Mattarella ha opportunamente citato il 1914 perché quello fu un anno chiave, in cui le tensioni accumulate da decenni portarono allo scoppio di un conflitto che poi durò fino al 1918. Ma, per altro verso, anche per ricordare che l’Europa non è stata solo la sede di una straordinaria civiltà e la madre del diritto, ma anche il Continente delle guerre, e – non va dimenticato – di rivoluzioni che hanno cambiato il mondo.
1914, dunque. In quel momento l’Europa veniva da un periodo di pace relativamente lungo ma, nei primi anni del XX secolo, si erano andati formando due blocchi contrapposti. Da una parte c’erano la Francia e la Gran Bretagna, che avevano saldato il loro legame nell’Intesa Cordiale (1904), e che portarono poi nel loro campo, progressivamente, la Russia, il Giappone e l’Italia. Dall’altra parte, c’erano gli “imperi centrali”, Austria-Ungheria e Germania, che avevano stretto un’alleanza con l’Impero ottomano. La causa scatenante della Prima Guerra Mondiale fu, com’è noto, l’assassinio a Sarajevo dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo, erede al trono austro-ungarico, da parte del nazionalista serbo Gavrilo Princip, il 28 giugno 1914. È a partire da questo evento che la situazione precipita. Dopo l’attentato, l’Austria-Ungheria, con il sostegno della Germania, lancia un ultimatum (23 luglio 1914) alla Serbia, ritenendola corresponsabile.
Inizialmente, l'Italia faceva parte dell'Alleanza con Germania e Austria, ma nel 1914 si dichiarò neutrale e non entrò subito nel conflitto. Nell'aprile 1915, poi, firmò in segreto il patto di Londra impegnandosi a intervenire in guerra entro un mese, al fianco però di Francia, Gran Bretagna e Russia, in cambio di promesse territoriali. Nel 1917 scenderanno in campo anche gli Stati Uniti, in risposta all'intensificarsi della guerra sottomarina tedesca, e il conflitto si concluderà nel 1918 con la resa della Germania e la vittoria delle potenze dell'Intesa.
La guerra si era dunque finalmente conclusa, sia pure con notevoli spargimenti di sangue (37 milioni di morti). Ma è singolare che, proprio a partire dal 1918, si cominci a parlare di declino dell’Europa, con la pubblicazione del primo volume di un’opera destinata a diventare un vero e proprio bestseller dell’epoca: Il tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler (che verrà ultimata con un secondo tomo nel 1922). Nel tracciare un’ambiziosa «morfologia della storia universale», duramente criticata, fra gli altri, da intellettuali influenti come Benedetto Croce e Max Weber, Spengler sosteneva che ogni civiltà è destinata ad attraversare un andamento ciclico dall’apogeo al declino, dalla fioritura alla decadenza, e che l’Occidente si trovava ormai all’ultimo stadio: «Non è un caso – ha scritto Claudio Magris in uno splendido articolo pubblicato dal Corriere della Sera il 10 marzo 2020 – che il travagliato, pletorico, affascinante, talora geniale e talora pacchiano bestseller di Oswald Spengler sia apparso nel 1918, quando la fede illuminista nel progresso stava andando a pezzi, il naufragio del Titanic aveva trascinato con sé l’entusiasmo per la tecnica e una guerra mondiale catastrofica per i vinti e per i vincitori aveva fatto esplodere l’edificio della civiltà e dell’ordine europeo ovvero mondiale, in un terremoto tuttora e forse sempre più in corso». E non è certo un caso, occorre aggiungere, che oggigiorno molti intellettuali “impegnati” parlino di declino dell’Occidente davanti al ritorno della guerra nel cuore dell’Europa con il conflitto tra la Russia di Vladimir Putin e l’Ucraina. Ma di questo si dirà più avanti.
Altra data cruciale: 1939. Si apre, con la figura del Führer Adolf Hitler, una nuova scena dominata dall'invasione della Polonia il 1° settembre: evento che segna l'inizio della Seconda Guerra Mondiale con la dichiarazione di guerra di Gran Bretagna e Francia contro la Germania nazista. Il 30 gennaio 1939, durante un discorso davanti al Reichstag, Hitler pronunciò parole che anticipavano il programma di distruzione della «razza ebraica» in Europa, attribuendole un ruolo centrale negli avvenimenti bellici. Contro questa mossa, che mirava ad ampliare lo “spazio vitale” tedesco attraverso la distruzione dello Stato polacco, anche a rischio di una guerra generale contro il “bolscevismo” e il “giudaismo”, la Gran Bretagna e la Francia dichiararono guerra alla Germania nazista.
Il dato che emerge da questa rapida ricognizione storico-politica è che in entrambe le guerre mondiali la Russia è stata decisamente schierata prima contro gli Imperi, poi contro la dittatura nazionalsocialista. Non può dunque non suscitare sorpresa che sia stato proprio il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin a proclamare, il 24 febbraio 2022, l’avvio di un'«operazione militare speciale», lanciando un assalto contro l’Ucraina su vari fronti, nella più grande operazione militare dalla Seconda Guerra Mondiale.
La grande letteratura russa è stata alla base della formazione di molte generazioni in vari Paesi dell’Europa e dell’Occidente, ed è parte essenziale e costitutiva della civiltà europea. Dobbiamo inoltre al sacrificio dell’esercito e del popolo russo la liberazione dal nazionalsocialismo. Le perdite totali dell'Unione Sovietica, includendo i civili, ammontano a circa 27 milioni di vittime, con un'alta percentuale di soldati morti sul Fronte orientale tra il 1941 e il 1945.
Non si può inoltre dimenticare che sono stati i soldati russi i primi a liberare Auschwitz, il più grande campo di concentramento e di sterminio, il 27 gennaio 1945, dopo aver liberato i campi di Sachsenhausen, Stutthof e Ravensbrück.
Molti commentatori e analisti politici sono stati profondamente sorpresi dall’aggressione a un Paese sovrano come l’Ucraina da parte di un politico e uomo di Stato che si era alcuni anni prima dimostrato addirittura propenso ad aderire alla Nato. Era il 28 maggio 2002 quando Silvio Berlusconi, durante il suo secondo mandato da presidente del Consiglio, organizzò a Pratica di Mare, nei pressi di Roma, un vertice con i 19 rappresentanti della Nato dove fu invitato anche Putin. Durante l'incontro venne firmata la Carta conosciuta come Dichiarazione di Roma, che aprì le porte della Nato anche alla Russia. Ancora oggi, a distanza di vari decenni, diversi storici, analisti politici e diplomatici considerano quel vertice un’occasione mancata, condividendo l’orgogliosa dichiarazione del leader di Forza Italia per «aver dato all'Italia un ruolo da protagonista nella politica estera, in pieno accordo con i nostri alleati dell'Occidente, portando nel 2002 allo stesso tavolo George Bush e Vladimir Putin, gli Stati Uniti e la Federazione russa, per firmare il trattato che pose fine a più di cinquant'anni di guerra fredda».
In realtà, le cose stavano in modo diverso da come Berlusconi immaginava. La nuova scena del mondo era ormai sempre più articolata in logiche di potenza costituite non più da Stati-nazione ma da Stati-Continente (Stati Uniti, Russia, Cina, India, con l’aggiunta dei Brics) che intrattengono fra di loro un duplice e ambivalente rapporto di reciproca ostilità e reciproca legittimazione. Il tutto tenendo sullo sfondo uno scenario drammatico composto da decine di guerre e conflitti nel mondo: 56 considerate guerre e 31 conflitti minori in corso. La situazione, con il numero più elevato di guerre attive dalla Seconda Guerra Mondiale vede l'Africa come il Continente più colpito, ma sono in atto conflitti anche in Medio Oriente, Asia e America Latina.
In questo contesto, la guerra mossa da Vladimir Putin contro l'Ucraina sta già avendo notevoli conseguenze economiche negative in Russia. Così indebolita e isolata, in futuro la Russia rischia di diventare fortemente dipendente dalla Cina: un Paese che è, a sua volta, molto più attivo della Russia nell’intrecciare rapporti con quello che un tempo si chiamava Terzo Mondo e che oggi viene definito Sud Globale.
Che fare, dunque? La Russia, con la sua storia, è parte costitutiva dell’Europa. Non ha bisogno di guerre, né di un Führer animato da volontà di dominio e di conquista, prima o poi destinato come tutti gli autocrati a finire male, ma di un popolo libero e democratico, capace di sviluppare la sua eccezionale vitalità e valorizzare la sua straordinaria cultura.
Nulla si adatta meglio all’anima autenticamente russa dell’appassionato discorso tenuto da Fëdor Dostoevskij l'8 gennaio 1880 in onore di Puškin: «Sì, la vocazione dell'uomo russo è indubitabilmente europeistica, anzi ecumenica. Diventare un vero russo, significa forse soltanto essere fratello di ogni essere umano, diventare un uomo universale. Tutto il nostro movimento slavofilo e occidentalizzante non è che una grande incomprensione della nostra missione, anche se storicamente necessaria […] il nostro destino è l'ecumenicità, ma non conquistata con la spada, ma con la forza della fratellanza e con il fraterno desiderio dell'unione spirituale di tutti gli uomini».
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