Oggi la Turchia punta  a esercitare la propria autorità negli affari internazionali

A prescindere da tutto ciò che si può ancora dire della direzione imboccata dalla Turchia in politica estera di questi tempi, è innegabile che essa è ambiziosa. La Turchia punta a esercitare la propria autorità negli affari internazionali ed è cristallina nella sua intenzione a essere coinvolta in tutti gli sviluppi che interessano la sua regione. Dal momento che l'ordine internazionale sta subendo una sostanziale trasformazione, Ankara ritiene di avere il diritto di assumere questo ruolo. In sintesi, se si dovrà costruire un nuovo ordine, la Turchia aspira a esserne uno degli artefici principali.
Come ha espressamente dichiarato l'iperattivo ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu, "obiettivo della nostra diplomazia lungimirante è rendere l'ordine globale più inclusivo, maggiormente in grado di coinvolgere e abbracciare tutti con maggiore equità". Il ministro ha chiesto alla popolazione di aver fiducia nella nuova missione della Turchia, che consiste nel diventare un "Paese equilibrato, interessato alle questioni globali, in grado di prevedere gli sviluppi internazionali e anticipare e formulare le soluzioni adatte, proponendo anche approcci alternativi".

Nelle sue nuove vesti di ministro, Davutoglu ha preso in mano completamente le redini della politica estera turca dopo essere stato consigliere del primo ministro per sei anni. Per tutto questo tempo ha sempre cercato di portare la Turchia alla ribalta internazionale. L'attivo impegno e il coinvolgimento assiduo nelle questioni mediorientali del suo Paese hanno attirato grande attenzione e dato il via a un dibattito sull'orientamento della sua politica estera. Ankara, in ogni caso, è stata molto attiva anche nei Balcani e ha allacciato rapporti di maggiore collaborazione con la Russia.
La capacità di portare avanti una politica estera così dinamica è stata possibile grazie a tre sviluppi: lo spostamento dall'Europa all'Est del centro di gravità dell'ordine internazionale; il crollo dell'equilibrio dei poteri in Medio Oriente sulla scia della guerra in Iraq; e ultime, ma non meno importanti, le necessità espansionistiche e le spinte delle aziende turche alla ricerca di nuovi mercati.
In realtà, la motivazione più trascinante della politica estera turca nella zona a lei vicina è stata sicuramente l'imperativo economico. Ciò spiega per quale motivo sono stati abrogati i visti con la Giordania, la Siria e il Libano non appena si è costituito il Levant Eastern Mediterranean Quartet per la cooperazione economica. Gli interessi economici in Iran spiegano almeno in parte l'incessante tentativo da parte di Ankara di approdare a una soluzione diplomatica per lo stallo legato al programma nucleare iraniano.
Indipendentemente dall'efficacia di questi tentativi istituzionali, che potrebbero funzionare come non funzionare, questi sviluppi dimostrano che non ci si può più aspettare che la Turchia sia arrendevole nei confronti delle intenzioni dei suoi alleati negli affari regionali. Né si può continuare a sostenere con grande semplicità che la Turchia non ha altre opzioni a sua disposizione se non l'Ue. Malgrado il fatto che il cosiddetto soft power turco include il suo processo di adesione all'Unione, l'allontanamento di Unione e Turchia è imputabile agli sviluppi in corso in entrambe. Se da un punto di vista ufficiale la Turchia non sta cambiando mentalità, di fatto quella dell'opinione pubblica turca è in piena evoluzione. Senza un'iniziativa politica mirata e deliberata, i rapporti tra le controparti continueranno a deteriorarsi sempre più a discapito di entrambe.

Sarei dell'opinione che, al contrario di quanto credono molti turchi, questo allontanamento non renderà la Turchia più libera di perseguire i propri obiettivi di politica estera con maggior vigore. È infatti caratteristica precipua della Turchia quella di saper giocare in campi diversi simultaneamente. Ankara riuscirebbe a ricavarsi una zona autonoma d'azione con maggiore facilità qualora mantenesse i rapporti con l'Occidente.
Quest'anno potrebbe rivelarsi di importanza cruciale per il posto che in futuro la Turchia occuperà nel mondo occidentale. Washington e Ankara hanno troppi interessi in comune per permettere che i loro rapporti si deteriorino oltre un certo punto. È vero che lo stato pressoché comatoso della normalizzazione delle relazioni tra Armenia e Turchia offende gli americani. Le tensioni tra Israele e Turchia, oltretutto, hanno alimentato fortemente l'astio che il Congresso nutre nei confronti di quest'ultima e hanno messo a disagio l'Amministrazione che vorrebbe vedere i due Paesi tornare a un rapporto che abbia quanto meno una parvenza di civiltà.
Eppure, per ciò che concerne Iraq, Afghanistan e Pakistan e le questioni energetiche, Washington e Ankara sono in sintonia, e l'Amministrazione Usa, che pensa in termini strategici, ha investito parecchio tempo e parecchi soldi a occuparsi della Turchia.
traduzione di Anna Bissanti