Qualche segnale di ripresa sta arrivando: dal nordest e dai conti con l'estero. Ma per l'Italia non c'è nessuna speranza di uscire dalla crisi finché la politica è sotto ricatto del Cavaliere e dei suoi guai giudiziari

Alla ripresa fa paura B.

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S egnalano le cronache che qualcosa si muove: in Veneto le fabbriche registrano nuove ordinazioni, qua e là è stata sospesa la cassa integrazione, qualcuno ha tenuto al lavoro gli operai a Ferragosto ("l'Espresso" n. 34). Eppure la Borsa, che aveva ripreso a correre, registra sempre nuovi tonfi e va in altalena mentre ricominciano a salire lo spread e soprattutto i rendimenti su bot e bpt, insomma il costo del debito: non è poco ora che stanno per andare all'asta 20 miliardi di titoli pubblici, buona parte a cinque-dieci anni. E mentre si registrano segnali di ripresa più forti negli Usa e più deboli in Europa, si continua a dire che la crisi è ancora di là da risolversi. Allora, a chi dobbiamo credere, a chi annuncia la svolta o a chi continua a vedere il bicchiere mezzo vuoto? E perché se le cose vanno meglio i mercati continuano a dare segni di nervosismo?

Sì, qualche segnale di ripresa c'è e se si muove il nord est, per restare a casa nostra, è facile immaginare che la locomotiva si tiri dietro il resto del Paese. Già, ma a che velocità? È anche vero però che a questa debole ripresuccia fa eco una consistente frenata delle economie emergenti. Per non dire delle attese – forse eccessive – per le elezioni in Germania e delle tensioni che accompagnano la successione alla Federal Reserve, nel timore che dopo Ben Bernanke arrivi qualcuno deciso a ridurre invece che a incentivare gli stimoli alla crescita. E senza contare infine i venti di guerra che hanno ripreso a soffiare impetuosamente in Medio Oriente.

Quindi l'attacco sui mercati c'è e questo attira la speculazione che come sempre punisce i più deboli della cordata. E tra questi l'Italia. Ma c'è poi una specificità tutta nostra: per noi non bastano le buone notizie sull'economia, occorrono anche quelle sulla politica e sulla tenuta del governo in particolare. Nei tre mesi del Letta I, per esempio, l'Italia ha superato i test europei ed è riuscita a scapolare lo scoglio della procedura d'infrazione, insomma la sua finanza pubblica (leggi: debito) è stata promossa. Ma, come si sa, una promozione non è per sempre. Un'altra novità l'ha scovata Federico Fubini ("Repubblica") spulciando i bollettini della Banca d'Italia: per la prima volta da molti anni i conti con l'estero non sono in rosso, almeno abbiamo smesso di indebitarci oltreconfine. Certo, il riequilibrio è figlio della crisi e del conseguente calo di consumi e investimenti, e dunque di importazioni, ma le buone notizie restano tali anche se temperate da circostanze paradossali.

E allora? Ormai dovremmo averlo imparato: qui da noi le convulsioni della politica e la tenuta dei governi contano quanto e più dell'economia. Perché significano agli occhi del mondo la volontà e la possibilità di incidere sui mille vincoli che frenano l'Azienda Italia. E in queste ore la stabilità è ancora a rischio. Pur superato lo scoglio dell'Imu, infatti, resta in piedi il problema Berlusconi, la sua richiesta di continuare a fare politica nonostante la Cassazione, la decadenza da senatore e l'incandidabilità fissate dalla legge Severino, e l'interdizione dai pubblici uffici.

Così è bastato che i falchi alzassero i toni perché la Borsa tremasse, il titolo Mediaset perdesse dieci punti e riprendessero a correre spread e rendimenti dei titoli (oggi di 2,5 punti più alti che in Germania). Tanto che B., sensibile ai problemi delle sue aziende almeno quanto lo è ai suoi problemi giudiziari, sentisse l'esigenza di abbassare i toni e per un po' farsi colomba.

Due anni fa per ragioni simili, e la situazione era molto più grave, fece un passo indietro favorendo la nascita del governo Monti; stavolta - a parte colpi di testa sempre possibili - potrebbe decidere di tenersi stretto Letta e le sue larghe intese in attesa che qualcosa si muova a favore suo e di quella "agibilità politica" che invoca dal giorno della definitiva sentenza di condanna e pur di rinviare lo scontro finale con Matteo Renzi.
Fino a quel momento l'incertezza resterà. E con essa la capacità del governo di fare le cose per le quali è nato. Compreso l'avvio di quelle riforme che potrebbero farci esclamare: finalmente si cambia.

Twitter @bmanfellotto

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