Opinioni
gennaio, 2014

Dopo Sharon è un altro Israele

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Il vecchio condottiero scomparso era l’emblema della generazione che ha fatto la guerra d’Indipendenza. Ma ora lo Stato ebraico volta pagina. Col desiderio di diventare finalmente un paese normale

Ariel Sharon, l’ex premier di Israele, mancava da otto anni, da quando un’emorragia cerebrale lo aveva ridotto in coma. Perché allora la sua morte ha scatenato un’ondata di emozione così forte nel Paese e una valanga di ricostruzioni della sua controversa figura e di commenti dovunque? Perché si è avuta la sensazione netta che con lui scompare un simbolo, e il trapasso certifica il passaggio da un Israele che non c’è più a un altro Israele che ancora si deve capire cosa sarà.

Sharon è stato l’ultimo contadino-guerriero, esponente di un sionismo legato alla terra, alla sua conquista e alla sua difesa. Anche l’ultimo leader che aveva partecipato alla guerra d’Indipendenza del 1948 e a tutte le altre che ne sono seguite. L’emblema di quella stirpe di soldati (che annovera anche Ben Gurion, Begin, Rabin, lo stesso Barak) capaci di usare il fucile ma in qualche caso, passati alla politica, di «dolorose concessioni», per quel pragmatismo militaresco che suggerisce, dopo la guerra, di tentare la pace col nemico.
Il suo Israele era quello dove le borghesi famiglie di Tel Aviv si facevano vanto di avere rampolli in Tsahal, l’esercito. E dove, dopo la battaglia, deposte le armi, il sogno era quello di tornare nei ranch per allevare bestiame e «coltivare il deserto». Per dare un significato compiuto, fisico, a quello Stato che gli avi in diaspora avevano vagheggiato per millenni.

Dopo di lui sono seguiti due premier, Ehud Olmert e Bibi Netanyahu, che poco hanno a che spartire con una simile biografia, più versati nell’economia e nella finanza che nell’arte della guerra. In ciò rappresentazione di quello che il Paese è oggi. Un luogo dove, se si tiene sempre un occhio alle ragioni della sicurezza per contingenti questioni geografiche, con l’altro si scrutano i listini di Borsa e si tende l’orecchio alle enormi potenzialità dell’hi-tech. Quanto succede in una nazione normale, come la descriveva Ben Gurion, «con i nostri ladri e le nostre puttane». Un avamposto d’Occidente incastonato nel Medio Oriente dove le famiglie non sognano più un figlio militare ma manager, avvocato, dottore. E il mestiere delle armi è delegato al quasi milione di russi che ne hanno preso la cittadinanza, le truppe d’élite sono la riserva degli studenti delle “Yeshiva”, soprattutto di quelle dei coloni che inseguono il sogno messianico della Grande Israele.

Ariel Sharon , disteso in un letto, con la sua ingombrante sagoma, era l’incosciente (letteralmente) memento di un’epopea pionieristica e fondativa, portatrice di lutti ma di successi. E se il massacro di Sabra e Chatila sta indelebilmente scritto nella sua storia che giustamente il mondo vuole ricordare, in patria era piuttosto il termine di paragone per misurare azioni, opere e coraggio dei successori. Perché si può fingere, ma solo fino a un certo punto, di vivere nel tanto reclamizzato “Paese normale”. Però un retropensiero spinge sempre a considerare che le insidie possono arrivare da tutti i punti cardinali, visto che non esiste un confine davvero, e definitivamente, pacificato.

Sharon, seppur impotente, era allora anche il fragile alibi psicologico perché un popolo, nella sua memoria collettiva, fingesse ancora di camminare fianco a fianco di quella generazione intrepida e vincente. Naturalmente un’illusione. O una comoda delega di responsabilità mentre si era intenti a concludere affari e a impegnare il proprio ingegno in altro che non fosse l’arte della guerra.

Ecco perché questo nuovo Israele, così diverso e così lontano dai dogmi dei padri fondatori, all’improvviso si è sentito orfano, più che di un uomo, della sua rassicurazione. Non intravede, nei leader di cui attualmente dispone, qualcuno che possa essergli ugualmente genitore. Qualcuno che sappia avere una visione e un progetto. Certo è più difficile essere eroi in tempi, se non di pace, almeno di tregua. Ma questa da oggi è la scommessa. Sepolta, con Sharon, una generazione, bisogna inventarsi dei condottieri. Per un Paese che resta solo quasi normale.

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