La commistione ?tra malavita e politici a Roma era stata già denunciata dall’Espresso. ?Ma come sempre, ?la politica non vede, non sente ?e non parla. ?Almeno fino a quando non arriva l’intervento della magistratura

Il Bel Paese dove tutto si mischia

Pochi giorni prima che un’ondata di arresti e di verbali d’intercettazione disegnasse le dimensioni della cupola fascio-mafiosa che spadroneggia a Roma con appendici bipartisan, Giuseppe Pignatone, il silenzioso magistrato siciliano che da due anni guida la Procura un tempo “porto delle nebbie”, aveva partecipato su invito del Pd a un “libero confronto di idee, proposte, contributi”. Apriti cielo. L’indomani certi giornali - gli stessi pronti a sostenere che la corruzione dilaga dai tempi dell’impero romano, e che volete che siano quattro soldi di mazzette, potere e politica sono sangue e merda… - si affrettarono a gridare allo scandalo: ma come, un procuratore a un convegno di partito, non si fa, e dove andremo a finire! Praticando così lo sport delle inutili polemiche senza i fatti.

E che cosa era andato a dire Pignatone? Primo: non è vero che tutto ciò che non è reato sia legittimo, criterio di buona amministrazione, eticamente apprezzabile. Ma certo non si può pretendere dalla magistratura, «come spesso è avvenuto e continua ad avvenire», una forma di supplenza che non gli compete, né pensare che il giudizio penale assorba ogni altro giudizio etico, politico, amministrativo. Secondo: la criminalità organizzata preferisce la tregua alla guerra, la corruzione alle pistole, la mescolanza con il mondo politico allo scontro o alla concorrenza. Agire là dove tutto si mischia…

Insomma, è alto il rischio «del contatto tra questi due mondi, con un aumento esponenziale della pericolosità dell’uno e dell’altro. Questo patto è basato sulla reciproca convenienza, non certo sulla paura, e spesso il contraente più forte non è il mafioso ma il suo interlocutore: il pubblico amministratore, il grande imprenditore, il pubblico funzionario, il professionista e i faccendieri che ruotano intorno a loro, dato che essi controllano il flusso della spesa e hanno competenze e risorse che i mafiosi da soli non hanno». Mai era stata raggiunta una così profonda commistione.

Lanciato in una sede “politica” il messaggio è ancora più chiaro. Ma per fugare residui dubbi le conclusioni di Pignatone: «Vorrei chiudere con una frase poco nota di Giovanni Falcone: “Possiamo sempre fare qualcosa”. Sono parole che dovrebbero essere incise sulla scrivania di ogni magistrato e di ogni investigatore. E, si potrebbe forse aggiungere, di ogni politico e di ogni amministratore».

Ecco, appunto. Leggendo le carte dell’inchiesta, avventurandosi nel mondo di mezzo in cui dettava legge Massimo Carminati, ti domandi perché, se non è la magistratura a muovere l’assalto, la politica non veda, non senta, non parli. Eppure le copertine dell’“Espresso” con le inchieste di Lirio Abbate sui nuovi re di Roma e di Emiliano Fittipaldi sui legami tra criminalità nera, mafia e affari nella Capitale sono di anni fa. Niente, silenzio e impotenza. Perché?

La prima risposta sta nella stessa politica, troppo debole per opporsi e denunciare. Nella Roma, e nell’Italia, di “Romanzo criminale” essa si serviva per i suoi fini della malavita organizzata. Oggi, stando a quel che leggiamo, è il contrario: è la malavita a utilizzare la politica. E se ieri l’alleanza d’affari era con pezzi fuorilegge della massoneria e dell’amministrazione e con il terrorismo nero, ora la nuova mafia di città corrompe e compra funzionari e politici fino a fare tutt’uno con settori della macchina pubblica. A Roma con il Comune, a Milano con l’Expo, a Venezia con il Mose…

Così, occupata la terra di mezzo, il sistema regge con ogni amministrazione, di destra o di sinistra, non c’è spoil system del malaffare perché i terminali installati continuano a funzionare. Il fiume della spesa pubblica che nessuna spending review è riuscita ad arginare, l’inefficienza dei servizi e l’arroganza della burocrazia fanno il resto, aumentando gli spazi a disposizione della malavita. Troppi politici, e troppo spesso, guardano e tacciono. Sembrano pronti a tutto solo per un obiettivo: preservare il potere conquistato. Sinceramente o strumentalmente convinti che non ci sia niente da fare. Proprio il contrario di Falcone.

Twitter@bmanfellotto

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