Patto chiama patto. Da quello del Nazareno a quello del Quirinale. Ma non si dica patto se non lo si ha nel sacco.

DI PATTO IN PATTO. Si scrive patto del Nazareno ma si legge patto presidenziale. Fin dall’inizio, adesso appare chiaro, l’accordo stretto nella sede del Pd - il tempio violato - più che le riforme istituzionali, più che il sostegno al governo (quando poi Renzi è andato) aveva come obiettivo sensibile ?la questione Quirinale. Ora è arrivato il momento della verità, la prova della tenuta. Ma il patto logora chi ce l’ha.

UNIONE MALEDETTA. Non si può dire che non sia una tradizione. O meglio una maledizione. Nel Palazzo il patto impiccia. Lega ma non unisce. Il tradimento è solo dietro l’angolo in attesa che l’equilibrio cambi tra le forze e le debolezze delle leadership. Anche in Europa i rapporti barcollano, quanti dolori, quanti rebus sul patto di stabilità. La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni. Quella della politica di pessime combinazioni.

MAMMA CROSTATA. La madre di tutti i patti ha come piatto forte la crostata alle visciole (secondo Franco Marini presente al desco si trattava di più modeste ?ciliegie) sfornata dalla signora ?Maddalena Letta per una cena ?ad altissima tensione politica organizzata ?dal marito Gianni. Di questi tempi Massimo D’Alema sale in cattedra, stigmatizza, accusa il patto del segretario. Ma non una parola che fu proprio lui, a casa Letta, nel pleistocene del 1997 - qualcuno ricorda Dalemoni? - il primo ?a stringere il patto con Silvio Berlusconi per tentare di salvare la Bicamerale.

INCIUCIO MASSIMO. L’ex Cavaliere poi lo piantò in asso e, dettaglio che la memoria dalemiana ha di certo rimosso, il glicemico accordo, passato alla storia con il nome non internazionale di “inciucio”, avvenne prudentemente nell’ombra mentre quello del Nazareno è sotto gli occhi di tutti. Piaccia o non piaccia all’ex premier, ?il suo non era altro che l’antenato ?di quello del Nazareno.

MONTI DIABOLIK. In seguito sono apparsi qua e là patti e sotto patti, ma trai più evocativi si può ricordare l’accordo del tunnel quando nel 2011, nel corridoio sotterraneo che congiunge Palazzo Madama con Palazzo Giustiniani, in una situazione surreale da Clerville, si incontrarono l’allora presidente Mario Monti nella veste di Diabolik con Pier Luigi Bersani, Pier Ferdinando Casini e Angelino Alfano nella parte di Eva Kant.

INTESA PAJATA. I patti hanno sempre avuto un feeling con il ramo alimentare, preferibilmente regionale. C’è stato ?il raffinato patto della pajata (romanesco nome delle budella del vitello) fra due passate glorie, Gianni Alemanno, sindaco della Capitale oggi indagato per associazione mafiosa, e Umberto Bossi, padre nobile della Lega. Nello scorso settembre, invece, alla Festa dell’Unità di Bologna è nato il patto del tortellino fra cinque quarantenni del Pse sulla cresta dell’onda: Renzi, Manuel Valls, Pedro Sanchez, Hakim Post e Diederik ?Samson, generazione camicia bianca, ?pattisti finché dura.

AL TAVOLO FITTO. Adesso attorno al tavolo del Nazareno, ora leggi Quirinale, aumentano le sedie per nuovi protagonisti, potenziali scudi contro il fuoco amico/nemico di franchi tiratori. C’è la cyber diaspora dei grillini. Montano gli abboccamenti con Raffaele Fitto, eretico berlusconiano con in ?dote un numero di parlamentari oscillante ?(tra i 34 e gli 80 a seconda dei retroscenisti politici), ottimo supplente di voti mancanti per l’elezione al Colle che in questa marcia di avvicinamento sembrerebbe perfino avere l’occulto benestare dell’ex Cavaliere. Patto Fitto mi ci ficco.

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