Il primo vero “casus belli” che ha rotto l’incantesimo di un pontificato fino a ieri solo riverito e osannato è scoppiato ?a causa di una strage di un secolo fa, ?che papa Francesco ha avuto l’ardire ?di chiamare per nome, il nome tabù ?di “genocidio”, e di equipararla a tutti ?gli altri annientamenti sistematici, programmati, di popoli e di religioni ?che hanno segnato il Novecento e ormai anche il secolo presente.
Difficile negare che ciò segni una svolta ?nel pontificato. Perché solo pochi mesi fa, ?a fine novembre, Francesco era stato in Turchia e degli armeni non aveva fatto parola. Sul genocidio il presidente Tayyip Erdogan aveva chiesto al papa di tacere, ?e Francesco rispettò la consegna. ?La diplomazia vaticana respirò di sollievo. In fondo, sono appena una ventina ?al mondo i paesi che esplicitamente chiamano genocidio lo sterminio degli armeni cristiani. E lo fanno con tutte le cautele del caso, per non irritare un alleato, vero o potenziale, a cui tengono troppo.
Ma quando, nella sua agenda, papa Francesco assegnò alla domenica dopo Pasqua del 2015 la memoria in San Pietro dei cent’anni della strage degli armeni, era scritto che avrebbe cambiato rotta. Come avrebbe potuto Francesco dire meno di ciò che avevano detto i suoi predecessori? Perché già il 9 novembre del 2000 Giovanni Paolo II aveva definito genocidio quella tragedia, e poi ancora il 27 settembre 2001, in due dichiarazioni solenni sottoscritte assieme al “catholicos” Karekin II, la prima a Roma e la seconda nella capitale dell’Armenia, dove si era recato mentre il mondo era sconvolto dall’abbattimento delle Torri gemelle. ?
Non solo, in quel viaggio papa Karol Wojtyla fece visita al memoriale dello sterminio, e pronunciò una preghiera accorata in cui lo chiamava come gli armeni lo chiamano: “Metz Yeghérn”, il grande male. Anche allora erano tutte parole tabù, ma le autorità turche reagirono con moderazione. Erdogan non era ancora asceso al potere, col suo neoislamismo combattivo, ed era all’apogeo l’interesse della Turchia per un ingresso nell’Unione europea, al quale il caso armeno faceva d’ostacolo. Anche Benedetto XVI, nel ricevere il 20 marzo 2006 il patriarca degli armeni cattolici, evocò il “Metz Yeghérn” senza suscitare reazioni, che invece sarebbero esplose fragorosamente contro di lui pochi mesi dopo, quando a Ratisbona svelò le radici violente della religione musulmana.
Domenica scorsa papa Francesco poteva dire il minimo. Invece, ed è qui la novità, è andato oltre, e di molto. Non solo ha messo il genocidio degli armeni in testa agli altri genocidi dell’ultimo secolo, ma li ha elencati ad uno ad uno, fino a quelli che si compiono ancora oggi a danno di tanti «perseguitati, esiliati, uccisi, decapitati per il solo fatto di essere cristiani», siano essi cattolici e ortodossi, siriaci, assiri, caldei, greci. Come cent’anni fa, «sembra che l’umanità non riesca a cessare dal versare sangue innocente». Virulente le reazioni turche, elusive le cancellerie occidentali. Per Francesco è finita la quiete.