Venezia, Napoli e, soprattutto, Roma. È nelle realtà locali che il premier piè veloce rischia di impantanarsi. E di ripresa economica non si parla

Il sindaco d'Italia si sta impantanando nelle acque agitate delle grandi città italiane: Genova, Venezia, Napoli e innanzitutto Roma. È il paradosso di questa stagione renziana, poco felice e molto confusa. Una sorta di contrappasso per Matteo piè veloce, da 16 mesi signore e padrone di Palazzo Chigi a Roma, da lui espugnato direttamente da Palazzo Vecchio di Firenze, culla feconda del “giglio magico”.

I risultati delle recenti elezioni locali hanno ridotto sulla difensiva il premier-segretario. Le regionali liguri e le comunali di Venezia hanno dato corpo a una mutazione genetica della destra italiana: resuscitata dagli elettori, con il volto pacioso e rassicurante del governatore Giovanni Toti e del sindaco Luigi Brugnaro, la destra ha l’anima di Salvini e del suo estremismo parolaio. In tv lo storytelling - come è di moda dire ora - dell’altro Matteo appare più convincente della comunicazione, in cui pure è maestro, del Matteo di governo. Per esempio sui migranti, tema delicatissimo, il fascio-leghismo sviluppa un linguaggio duro e diretto, apparentemente convincente come sa esserlo la demagogia, più facile rispetto alle fatiche diplomatiche di un governo stretto tra gli egoismi degli alleati europei e l’inadeguatezza delle soluzioni finora adottate per fronteggiare un’emergenza diventata ormai permanente.

Se sui migranti Renzi è in difficoltà pur non avendo colpe dirette, è invece pienamente responsabile del pasticcio creato in Campania dopo la vittoria di Vincenzo De Luca. Il sindaco di Salerno avrà pure le sue ragioni per sentirsi orgoglioso di una condanna non per corruzione né per altre forme di ruberie, ma anzi solo per un “reato linguistico”, come ama ripetere; ma vallo a spiegare con un po’ di buon senso che una regione come quella, con il corpaccione di Napoli e i suoi malanni, è in mano a un “fantasma”. E sì, perché De Luca sarà sospeso in base alla Severino. Ma si sta lavorando a un decreto legge per salvare il vice che prenderà il suo posto. La Campania condensa insomma tutte le contraddizioni del tatticismo di questa fase politica: la vittoria, fortemente auspicata la sera del 31 maggio per compensare la perdita della Liguria, si sta rivelando un regalo avvelenato. Il danno all’immagine del leader rottamatore ormai è consumato.

Roma infine. Non perché sia l’ultima delle questioni. Anzi. Due settimane fa (n. 24) ho già sostenuto che, per il bene della città, è opportuno che Ignazio Marino si dimetta. È imbarazzante per tutti la condizione di deterioramento quotidiano dell’amministrazione capitolina. Il riflesso sullo stato delle cose, sia nel centro turistico che nei quartieri periferici, è evidente. Marino è persona onesta; non è questo il tema in discussione. È in discussione la sua capacità di arginare il malaffare dilagante. Circondato da un partito, il Pd, invischiato in maniera inquietante con le manovre della banda Buzzi-Carminati.

Marino, se si dimettesse, avrebbe la possibilità di ribaltare il tavolo e di presentarsi agli occhi dell’opinione pubblica come il sindaco che non ci sta, disposto a rinunciare al seggio sicuro pur di poter avviare una nuova stagione di pulizia e di trasparenza nella capitale. Sono io che li mando a casa e non loro che mandano via me: un buon punto di partenza per ricominciare e ripresentarsi alle prossime elezioni con liste pulite e una nuova squadra. Non lo farà, prigioniero della sua ostinazione. A dispetto anche di Renzi che ormai l’ha sfiduciato. Roma va salvata. È un interesse nazionale, urgente.

Per il premier-segretario c’è una sola strada, se non vuole restare impantanato in questo marasma. I sondaggi, per quel che valgono in attendibilità, registrano impietosi un calo di consensi, abbastanza facile da intuire dopo i voti veri espressi nelle recenti comunali e regionali. Dopo il Renzi 1 e il Renzi 2, ci vuole il Renzi 3, capace di portare a casa la ripresa economica. È la grande assente nella discussione pubblica e nella pratica di governo.

Twitter @VicinanzaL


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