La bolla è destinata a esplodere in modo ancora più massiccio. Ma l’economia globale non ne risentirà: pochi stranieri hanno azioni a Shanghai
Uno dei privilegi di essere una superpotenza economica, come la Cina ha appena scoperto, è che se si starnutisce, il resto del mondo prenderà il raffreddore. In questo caso, tuttavia, considerare il crollo del 30 per cento della Borsa di Shanghai come l’equivalente di uno starnuto sarebbe una leggerezza. Ma il fatto che la Cina abbia bruciato più di 3.000 miliardi di dollari ha sconvolto i mercati azionari di tutto il mondo, provocando per contraccolpo un calo dei prezzi delle azioni sui mercati finanziari.
Per fortuna, le energiche misure adottate dal governo cinese hanno bloccato, almeno per ora, la corsa alle vendite. Dopo che i prezzi delle azioni hanno cominciato a sprofondare, Pechino ha sospeso le quotazioni di nuove società, congelato gli scambi di circa la metà del listino delle due grandi Borse cinesi e imposto ai fondi pensione controllati dallo Stato, alle società di intermediazione e alle compagnie di assicurazione di comperare azioni.
Se quest’intervento ha scongiurato una catastrofe, resta da chiedersi perché il governo cinese abbia permesso che la bolla diventasse così grande. Al pari degli altri, anche gli investitori cinesi sono guidati dall’euforia. Quando i mercati hanno cominciato a salire nel giugno del 2014, lo Shanghai Composite Index stava intorno ai 2000 punti, una valutazione ragionevole. Ma quando i prezzi sono raddoppiati in nove mesi e gli investitori hanno realizzato enormi profitti, questo ha attratto nuovi investitori spingendo l’indice sempre più in alto.
Invece di prendere misure precauzionali, le autorità hanno contribuito a far gonfiare la bolla. La stampa ufficiale ha elogiato l’espansione del mercato come una manifestazione di fiducia nella politica del presidente Xi Jinping, anche se l’economia cinese era in affanno. Le autorità di regolamentazione hanno permesso l’aumento dei prestiti marginali per l’acquisto di titoli. Così i piccoli investitori hanno potuto usare il denaro preso a prestito per comprare azioni. I prestiti marginali concessi da società di intermediazione, che nel luglio del 2014 erano pari a meno di 500 miliardi di yuan, sono quadruplicati raggiungendo un picco di 2.260 miliardi di yuan (365 miliardi di dollari) a metà giugno scorso. Ma poiché gli investitori cinesi hanno preso prestiti anche dal sistema bancario ombra, l’ammontare complessivo dei prestiti marginali è stato stimato in almeno 4.000 miliardi di yuan prima del crollo, che coprivano il 10-20 percento del totale degli investimenti azionari.
Le bolle speculative alimentate con denaro preso in prestito scoppiano rapidamente perché, quando i prezzi delle azioni cominciano a sprofondare, un investitore riceve una richiesta di maggior copertura dal suo prestatore. Così quando la bolla cinese ha cominciato a scoppiare, le vendite provocate dalle richieste di maggiori coperture hanno creato un circolo vizioso: le vendite trascinano altre vendite e così una modesta flessione iniziale si è trasformata in un precipizio.
La questione ora è se Pechino può arrestare la caduta. A giudicare dalle misure di emergenza, appare chiaro che i dirigenti stanno cercando di guadagnare tempo. Vogliono sostenere il mercato per almeno sei mesi, nella speranza che la fiducia degli investitori tornerà. Ma questa strategia può solo ritardare l’inevitabile perché la bolla del mercato azionario cinese rimane grande. Con i prezzi delle azioni sopravvalutati, Pechino dovrà immettere una grande quantità di denaro per sostenere il mercato al livello attuale. Nel frattempo, le spinte alle vendite sono solo arginate. Quando la negoziazione dei titoli sospesi riprenderà, quasi certamente questi torneranno a crollare.
Con ogni probabilità, gli sforzi dei dirigenti cinesi per non far scoppiare la bolla provocheranno più danni all’economia reale nel lungo periodo perché finiranno col dissipare preziose risorse. Ma per ora, i danni sono contenuti. Il settore finanziario cinese è più debole, ma non sull’orlo di un tracollo. L’economia reale ne risentirà poiché la perdita di ricchezza delle famiglie dopo il crollo deprimerà i consumi privati e la crescita. Fuori dalla Cina, i contraccolpi della crisi saranno minimi perché pochi stranieri possiedono azioni cinesi. Ma i Paesi in via di sviluppo da cui la Cina importa petrolio e altri minerali saranno più vulnerabili: la loro crescita è stata alimentata proprio da queste esportazioni. Lo starnuto dei mercati cinesi, può farci innervosire, non ammalare. traduzione di Mario Baccianini