La politica perde perché ha perso la capacità di far sognare, di far immaginare un futuro diverso, non banalmente migliore, ma altro. La politica non vince perché non sa più perdere con dignità: ama perdere puntando sul sicuro, senza osare, senza cercare consenso tra chi si sente emarginato, ignorato, non compreso, costretto a scegliere tra il meno peggio. La politica perde perché non è coraggiosa, perché asseconda al ribasso quelli che ritiene gli umori dell’elettorato, senza peraltro riuscire davvero a intercettarli. La politica perde, tutta, perché non esiste più la posizione che spariglia, che irrompe con forza e costringe a un ragionamento diverso. La politica perde, tutta, perché è appiattita sulle stesse posizioni pur nelle diversità apparenti, perché si divide in schieramenti talmente eterogenei da non risultare credibili, perché si unisce, si consorzia, sceglie sponde, alleati e avversari non per raggiungere un progetto, ma per legittimare carriere, per alimentare percorsi personali. La politica non è tutta così e allora come facciamo a riconoscere le voci fuori dal coro? Come facciamo ad ascoltarle se in televisione non trovano spazio? Se sul web non urlano, non utilizzano link esca per attirare click e attenzione?
Non è facile intercettare le voci di buon senso, quelle per esempio che sanno bene che dal no al referendum costituzionale non nascerà nessuna sinistra finalmente giusta - non è nata sino a ora come potranno le cose cambiare all’improvviso? -, quelle che stanno interpretando il no al referendum come una sconfitta per tutti, vincitori e vinti, perché è stata una risposta alla politica per sottolineare, come se non fosse già abbastanza chiaro, che le cose vanno male, che c’è disagio sociale, che non si sta bene. L’affluenza alle urne, che così alta non si vedeva da tanto, è motivo di orgoglio per un Paese che da troppo tempo non era interpellato, che aveva voglia di dire alla politica nazionale che dalle province è assente, che il cuore del paese non sta a Roma, ma nei comuni che in massa hanno votato no
Ci sono temi che non vengono mai lambiti per timore di perdere consenso, perché considerati marginali, per quel benaltrismo che all’Italia sta facendo più danni di quanto non si creda. E allora accettiamo supinamente che dalla legge sulle unioni civili, per volontà di una forza rappresentativa di niente e di nessuno come Ncd, venga stralciata la stepchild adoption che di fatto invece esiste per volontà di giudici umani e lungimiranti. Accettiamo che non si parli di legalizzazione delle droghe leggere per non urtare suscettibilità bigotte come quella del Ministro Lorenzin (sempre Ncd) che ha portato avanti la campagna razzista sul Fertility Day offendendo tutti: chi figli ne vuole ma non può per mancanza di risorse economiche e chi invece non ha intenzione di diventare genitore e per questo è considerato cittadino di serie B. Accettiamo che non si parli di aborto come diritto negato, sempre per blandire la stessa parte. E in ultimo accettiamo di non parlare di maternità, surrogata e non, come se fosse un tabù e non il più ovvio dei percorsi (qualora si decidesse di intraprenderlo) nella vita di una donna e di una coppia.
Ho letto due storie che credo sia importante conoscere per capire quanto l’assenza di dibattito ci renda poveri; quanto il moralismo vuoto inseguito da chi si dimostra più realista del re sia un freno alla garanzia di nuovi diritti. E dove ci sono nuovi diritti c’è consapevolezza e una società destinata a migliorare. Heather è una madre surrogata che si pente e che vuole tenere suo figlio e Jenna è una madre surrogata che vede dileguarsi i genitori adottivi e committenti ed è costretta a tenere un bambino senza averlo preventivato.
Siamo pronti, come Paese intendo, a discutere di queste storie senza definire Heather paladina del provita e della difesa della maternità e Jenna un mostro perché la nascita di un figlio mette in crisi tutta la sua vita? Io non credo e sono convinto che riuscire ad affrontare questi temi con apertura aiuterebbe moltissimo il dibattito politico, tutto. Aiuterebbe perché il racconto delle ombre non sarebbe più percepito come il racconto del male, ma come ciò che accade quando le vite non sono lineari. Aiuterebbe il nostro Paese abituandolo alla complessità.
Camorra10.11.2011
Quel processo, la mia speranza