La questione morale? È lo Stato che non funziona

di Massimo Cacciari   20 maggio 2016

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Se si moltiplicano gli scandali non è perché in Italia ?i politici sono più ladri che altrove. È per i vizi ?del sistema che ci ostiniamo a non correggere

Diceva un saggio: «homines civiles non nascuntur, sed fiunt», la civitas è un grande artificio, un’ opera , forse la più complessa delle opere, prodotta dal convergere e confliggere di intelligenze, volontà, interessi e visioni del mondo. Se in uno Stato son commessi più crimini che in un altro, significa che l’“artificio” non funziona, non che la natura l’ha dotato di uomini “naturalmente” meno civili; significa che la sua classe dirigente combina occasionali pasticci, invece di considerarlo come un sistema e di operare conseguentemente. Non si eliminano i ladri, almeno in politicis , se si ignorano le cause che li producono, così come non si eliminavano i tiranni, e cosi come mai si riformerà seriamente la nostra democrazia ignorando le ragioni storiche irreversibili della crisi del “parlamentarismo”. Ma questi ultimi sono ragionamenti troppo complessi, per essere qui affrontati.

Vediamo quello più semplice della “questione morale”. Che “morale” non è - già quando con Berlinguer si sollevò, lo scorso millennio, essa appariva indissolubilmente congiunta al tema delle “riforme di struttura”. Espressione vaghissima, ma che indicava il problema. Oggi invece tutto si riduce allo scandalo, alla denuncia, alla caccia al ladro, alla speculazione su ogni atto giudiziario, su ogni intercettazione. Un colossale calderone in cui si perde ogni misura e tutto vi si confonde: il comportamento più grave e penalmente rilevabile col puro gossip, l’avviso di garanzia (che dovrebbe valere a tutela degli interessi dell’indagato) con l’arresto, il puro sospetto col furto conclamato. Ed è fisiologico che così avvenga: ignorando le cause che conducono al crimine, non rimane che il suo “fenomeno”; non sapendo guarire i vizi dello Stato , non rimane che la caccia ai viziosi. A turno, e sempre a rimorchio delle quotidiane novità della cronaca giudiziaria, i cosiddetti partiti si accusano di nefandezze varie. Oggi a me, domani a te; chi la fa l’aspetti. E, alla fine, mal comune mezzo gaudio.

La conseguenza è che nella conclamata impotenza da parte del Politico di formare classi dirigenti adeguate, capaci di metter mano sistematicamente ai guasti dell’amministrazione e delle istituzioni, la stessa selezione della classe politica e le sue fortune sono destinate a dipendere sempre più dalle iniziative della magistratura. Ciò è del tutto logico; nessuna intenzione e nessun “complotto” da parte di questa funzione dello Stato, la cui autonomia è essenziale elemento della vita democratica. La magistratura indaga e colpisce il reato, non fa le leggi e tantomeno le grandi riforme che si impongono in momenti di crisi. Neppure può decidere da sé del proprio ordinamento. Se la giustizia non funziona o funziona lentamente e male è vizio dello Stato ben prima che,eventualmente, dei suoi custodi. Se un numero impressionante di Comuni, non solo nel profondo Sud, sono variamente infiltrati da organizzazioni criminali, forse i sindaci e i consiglieri pro tempore non ne sono la causa. E qualora essi risultino in toto collusi con mafie e camorre, forse la responsabilità sarà delle organizzazioni che cosi brillantemente hanno selezionato i propri dirigenti. Se lo scandalo principe di tante Regioni riguarda le politiche sanitarie, forse ciò dipende dall’assurdo modo in cui la stessa Regione si è andata costruendo come un catafalco onnipotente in questo settore, più che da innate tendenze criminali dei suoi capi.

Se si moltiplicano le denunce per abusi di potere, turbative d’asta e via cantando, forse spesso la causa di tali reati non andrà cercata nell’ auri sacra fames di qualche malcapitato sindaco, ma piuttosto nella illeggibilità delle leggi nelle materie più delicate per un’amministrazione locale, nelle indescrivibili corse a ostacoli che esse scrupolosamente prevedono per ogni iniziativa, moltiplicando tempi e oneri (proprio con la pretesa di volerli ridurre). Qualcuno sperava che un rottamatore venuto da tali esperienze (ma forse vissute con ben più alte mire) rottamasse le cause di tali disfunzioni, così da rendere i malfattori e i mascalzoni che sempre ci sono stati e ci saranno innocui o quasi. E disperare è impossibile, diceva un altro saggio. Continuiamo dunque a sperare. E nel frattempo avanti con Tangentopoli.