Era la roccaforte storica del partito. Che invece qui ha perso molti voti, fra i giovani come fra gli anziani. E che non conquista gli elettori di centro
Il cuore rosso del Pd è in affanno. Gli elettori dei tradizionali feudi della sinistra non pompano più sangue al loro partito. Una parte consistente non va più a votare, un’altra vota a dispetto. L’Emilia Romagna, terra rossa per definizione, in questa prima tornata delle amministrative ha inflitto al Pd un salasso mai visto prima. I dati analizzati da Marco Valbruzzi per l’Istituto Cattaneo non lasciano adito a dubbi. Nei 50 comuni in cui si è votato nel 2011 e oggi, i votanti sono diminuiti di 8,4 punti percentuali facendo scendere la media regionale al 64,9%. Un dato sideralmente lontano dalle percentuali di fine anni Novanta che superavano agevolmente la barra dell’80%.
Bologna trascina tutti gli altri comuni: nel capoluogo è andato alle urne meno del 60%, la percentuale più bassa nella storia della città, con una sola eccezione: quella delle regionali dell’autunno 2014 quando l’astensionismo, complice una inchiesta della magistratura sulle spese dei consiglieri regionali, rivelatasi poi in larga parte inconsistente, trattenne a casa due elettori su tre. Gli emiliano-romagnoli stanno quindi perdendo il primato del civismo elettorale. E una parte dei nuovi astenuti erano sostenitori del Pd. Infatti, nei 41 comuni di cui si è già decisa la sorte al primo turno, il partito democratico perde il controllo di una quota non irrilevante: passa dal 65% al 44%, mentre Lega e Movimento 5 Stelle crescono, il secondo molto più della prima.
Insomma, il Pd si affaccia su un territorio sconosciuto, dove non esistono più porti sicuri. Il voto di appartenenza, quello che riconferma la propria scelta elezione dopo elezione, e che ha caratterizzato, fino a ieri, le regioni rosse, sembra in via di estinzione. La roccaforte nord-appenninica, serbatoio sicuro di voti qualunque cosa succedesse, si sta sgretolando. Il ricordo di quanto è successo alla Dc nella zona bianca del Triveneto dovrebbe insegnare qualcosa ai dirigenti del partito democratico. Quando si apre una breccia, poi si rompono tutti gli argini. Segnali ce ne sono già stati: tra questi, il buon risultato dei candidati del centro-destra alle regionali del 2015 quando stavano per conquistare l’Umbria, e la caduta di Livorno e il dilagare dei 5 Stelle nelle Marche alle politiche del 2013.
Nulla è come prima. I trionfi del 2014 sono lontani e illusori. Il voto diventa mobile. Solo la fascia più anziana di elettori è disposta a riconfermarlo. Ma proprio in questo gruppo si stanno aprendo grandi falle. Perché il sindacato più corposo, lo Spi della Cgil, è in rotta di collisione con il governo. E credere che non conti nulla quanto a mobilitazione elettorale è un’altra pericolosissima illusione: tutte le ricerche dimostrano che gli anziani vanno ai seggi molto più dei giovani. Perdere contatto con quella realtà ha un costo soprattutto se quei voti in uscita non sono compensati con uno sfondamento tra i giovani. Invece, in questa fascia di età dominano i 5Stelle che raccolgono il 40% degli under 45, come ricordava un sondaggio pubblicato su “l’Espresso”.
Del resto, i messaggi che il governo invia sono relativi a un mondo lontano mille miglia da un elettorato popolare e anziano. Il capo del governo si bea a calarsi nel mondo smart e cool delle startup, delle imprese (innovative ovviamente), e della borghesia benestante. Così diventa un alieno rispetto a vaste platee popolari. Il carico di simpatia e fiducia che anche tanti anziani gli avevano riservato appena arrivato a Palazzo Chigi - «finalmente un giovane carico di energia!» - si è perso per strada. La nuova leadership democratica ha puntato tutto sulla conquista di un elettorato borghese-moderato attento più alle ragioni del mercato che del welfare. Non ha capito che quell’elettorato era già acquisito nella sua componente liberal, mentre quella conservatrice non lo voterà mai. Non ha capito, soprattutto, che oggi la competizione avviene proprio sui ceti popolari. È in questi settori che la destra ha sfondato negli anni Novanta sottraendola sia alla Dc che al vecchio Pci. È questa fascia che, con i suoi spostamenti, decide l’esito delle elezioni. Lo scricchiolio delle regioni rosse lo segnala chiaramente.