È la terza regione d’Italia in cui si è avuto il maggiore incremento netto di suolo consumato nel 2021. La prima per superficie esposta a pericolosità idraulica rilevante

La tragedia che si è consumata in Emilia-Romagna suscita – come è giusto – interrogativi. L’eccezionalità degli eventi atmosferici richiede grande cautela ma impone di prendere in seria considerazione i moniti sugli scenari climatici profondamente mutati. Solo in Italia, come evidenziato dall’Osservatorio nazionale città clima di Legambiente, sono ormai centinaia ogni anno gli eventi estremi che causano danni. Se per eccezionale si intende qualcosa di unico, sono maturi i tempi per l’abbandono dell’aggettivo.

 

È giusto allora chiedersi come mai un vastissimo territorio sia stato flagellato per effetto dell’esondazione di un numero elevato di corsi d’acqua sconosciuti ai più. Ogni territorio, specchio di quel che accade nell’intero globo, vive di equilibri. La loro rottura è l’effetto di strategie omesse o scellerate. Se ci si sofferma sugli accadimenti degli ultimi dieci mesi emerge la drammatica situazione in cui versa il Paese. Per limitarsi a quelli maggiormente eclatanti: agli inizi di luglio dell’anno scorso la Marmolada, a settembre le Marche, a novembre Ischia e, adesso, l’Emilia-Romagna e ancora le Marche.

 

L’inarrestabile consumo del suolo è una delle cause della sconfitta che la natura ci sta infliggendo. Il fenomeno di impermeabilizzazione, attraverso l’immissione di materiali artificiali (asfalto, calcestruzzo), come racconta il rapporto 2022 "Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente”, è la principale causa del degrado ambientale che si sta verificando in Europa.

L’utilizzo artificiale dei territori accresce il rischio di inondazioni, costituisce una minaccia per l’ecosistema e la biodiversità, è uno dei fattori determinanti del cambiamento climatico. Ora, di fronte agli allarmi lanciati da istituzioni di comprovata credibilità come è possibile che il suolo italiano, vada incontro annualmente a consumi (violenze) crescenti?  Lo stesso rapporto parla di nuovi utilizzi di 2,2 m2 al secondo, con la scomparsa irreversibile di aree naturali e agricole.

 

L’Emilia-Romagna, dopo la Lombardia e il Veneto e subito prima del Piemonte, è la regione in cui si è avuto il maggiore incremento netto di suolo consumato nel 2021 (+ 658 ettari). In queste quattro regioni, con la maggiore concentrazione di attività produttive si dà prevalenza assoluta, a scapito della tutela dell’ambiente e della sicurezza, all’espansione di aree industriali e commerciali. Un paradosso se si pensa che la Costituzione è stata di recente modificata agli articoli 9 e 41. Si è stabilito che è compito della Repubblica provvedere alla tutela dell’ambiente anche nell’interesse delle future generazioni. E si è sancito che l’iniziativa economica non può svolgersi in modo da recare pregiudizio all’ambiente. Parafrasando Norberto Bobbio, il vero problema non consiste nell’affermazione – pur sacrosanta – dei princìpi, ma nella loro effettiva e concreta attuazione.

 

Quanto consumatosi in Emilia-Romagna costituisce allora una tragedia annunciata? Forse sì. Un volume dal titolo emblematico (Ecoshock, editore Rubbettino), scritto da Giuseppe Caporale e uscito il 15 maggio, dedica un intero paragrafo alla regione Emilia-Romagna. Sulla scorta di un dossier pubblicato da Legambiente sui rischi del futuro, si afferma che è la Regione con la maggiore superficie esposta a pericolosità idraulica rilevante. Così come sostenuto dal rapporto Ispra sul rischio alluvioni.

 

All’indomani della inondazione di Faenza dei primi di maggio alcuni esponenti del centrodestra hanno peraltro criticato la Regione, vistasi costretta a restituire al Mit 55 milioni dei circa 70 complessivi di un finanziamento a fondo perduto destinato a realizzare interventi con riguardo al sistema idrogeologico. La polemica poggiava su quanto affermato qualche anno prima dalla sezione Emilia-Romagna della Corte dei conti nella relazione sul rendiconto generale, esercizio 2020.

 

La Regione, in sede di interlocuzione con la Corte dei conti si era difesa adducendo che la mancata fruizione di quei fondi fosse «collegata per lo più alle dinamiche del Patto di stabilità». Alcuni esponenti del Pd, scesi in campo in questi giorni a difesa dell’operato della Regione, hanno sostenuto che i 55 milioni nulla avrebbero a che vedere con la prevenzione del dissesto idrogeologico, riguardando l’idrovia ferrarese. Resta però quanto sentenziato dalla Corte dei conti: «Le giustificazioni prodotte non escludono tuttavia la obiettiva constatazione da parte della Sezione della mancata realizzazione da parte dell’Amministrazione regionale, in un arco di tempo durato oltre un decennio, dell’opera di sistemazione idrogeologica per l’importo di circa 55 milioni di euro, oltretutto finanziato interamente dallo Stato e che, per via di quanto emerso, ha determinato la restituzione di detta somma al bilancio del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili».

 

Al di là di quale fosse l’effettiva destinazione dei fondi, la lapidaria presa di posizione della Corte dei conti mette emblematicamente in luce uno dei difetti storici del sistema Paese: l’incapacità di spesa. Un difetto che agita i sonni di tutti coloro i quali, nell’attuale contingenza storica, si stanno adoperando per la messa in cantiere del monumentale lavoro racchiuso nel Pnrr.