Ad Assisi Bergoglio incontra gli esponenti delle altre confessioni. Su un piano di parità. E molti potrebbero pensare che le religioni sono tutte uguali
Il memorabile incontro ad Assisi, trent’anni fa, di Giovanni Paolo II con uomini di tutte le religioni fu forse l’unico momento di disaccordo tra il santo papa polacco e l’allora suo fidatissimo maestro di dottrina, il cardinale Joseph Ratzinger. Lo ricorda lo stesso Ratzinger nel suo libro-intervista pubblicato in questi giorni: «Lui sapeva - dice - che io seguivo un’altra linea».
Ma ora che papa Francesco, il successore di entrambi, si appresta il 20 settembre a replicare ad Assisi quell’evento, il contrasto si ripresenta ancora più forte. Un dialogo paritario tra le religioni - ha infatti ammonito più volte Ratzinger anche dopo la sua rinuncia al papato - sarebbe «letale per la fede cristiana». Perché ogni religione «si ridurrebbe a simbolo interscambiabile» di un Dio supposto uguale per tutte.
Naturalmente Jorge Mario Bergoglio non si riconosce in questo tipo di dialogo paritario, né ha mai pensato che la Chiesa cattolica debba rinunciare a predicare il Vangelo ad ogni creatura. Ma alcuni suoi gesti e parole hanno effettivamente dato spunto a tali derive, a cominciare da quel suo definire «una solenne sciocchezza» il proselitismo, senza mai dire in che cosa questo si distingua dalla genuina missione. Non sono pochi i missionari di frontiera, che hanno speso una vita a predicare e a battezzare, che oggi si sentono come traditi, in nome di un dialogo che rende inutile qualsiasi conversione.
Anche con gli altri cristiani, protestanti e ortodossi, Francesco si muove con passo diverso rispetto ai predecessori. Mentre ad esempio Benedetto XVI incoraggiava e facilitava il ritorno nella Chiesa cattolica degli anglicani in disaccordo con la svolta “liberal” della loro Chiesa, Francesco no, preferisce che restino a casa loro, come hanno rivelato due vescovi anglicani suoi amici, Gregory Venables e Tony Palmer, da lui dissuasi dal farsi cattolici.
Ma è stato soprattutto un breve video del gennaio di quest’anno, diffuso su larga scala in dieci lingue, che ha più fatto pensare a un cedimento al sincretismo, all’equiparazione di tutte le religioni. In esso, Francesco invita a pregare con gli uomini di ogni fede, per amor di pace. E infatti compaiono oltre a lui una buddista, un ebreo, un musulmano, con i rispettivi simboli, tutti alla pari.
Dice il papa: «Molti cercano Dio o trovano Dio in diversi modi. In questa ampia gamma di religioni c’è una sola certezza per noi: siamo tutti figli di Dio». Belle parole, effettivamente però non coincidenti con quelle del Nuovo Testamento e in particolare del Vangelo di Giovanni, secondo cui tutti gli uomini sono «creature» di Dio, ma ne diventano «figli» solo coloro che credono in Gesù Cristo.
Ad Assisi, il 20 settembre, Francesco si ritroverà di nuovo accanto a un buddista, a un ebreo, a un musulmano, e ad altri ancora. Ed è prevedibile che il suo eloquio sarà più sorvegliato rispetto a quello del video. Ma c’è un impatto delle immagini che sarà difficile da contenere e razionalizzare.
È ciò che è stato esaltato da molti fin dal 1986 come lo «spirito di Assisi», formula che Ratzinger ha sempre cercato invano di disinnescare, da cardinale e da papa, affinché fosse capita in modo opposto a come tanti la intendono, non cioè in senso «sincretista» e «relativista».
Ad Assisi si riproporrà quindi in tutta la sua drammaticità la tempesta perfetta che ha sconvolto la Chiesa cattolica nell’estate del 2000, quando la congregazione per la dottrina della fede, presieduta da Ratzinger, pubblicò la contestatissima dichiarazione “Dominus Iesus” proprio per contrastare l’idea che tutte le religioni sono uguali e per ribadire invece che c’è un unica via di salvezza per tutti gli uomini, ed è Gesù.
In due millenni, mai la Chiesa aveva sentito la necessità di richiamare questa verità elementare della fede cristiana. «L’averla dovuta ricordare ai nostri giorni ci dà la misura della gravità della situazione odierna», ammonì un cardinale di nome Giacomo Biffi alla vigilia del conclave del 2005, quello in cui Ratzinger fu eletto papa.