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Opinioni
gennaio, 2017

Noi in trappola tra bufale e censura

La circolazione di false notizie online non si combatte con lo stop alla libertà di parola.  Ma evitando l’impunità di chi le diffonde

Come sempre in Italia (anche quando le notizie che ci riguardano arrivano dall’estero) si ragiona tirando in ballo la parola “emergenza” per far leva sull’emotività. Come sempre - e questo impedisce la ricerca reale di una soluzione - si propongono ricette inattuabili e che hanno un retrogusto amaro, quando non pericoloso. E come sempre, la risposta non tarda ad arrivare. Anch’essa è scomposta, deve alzare i toni perché la gara è a chi la spara più grossa, a chi fa più proselitismo e ovviamente il proposito finale non è trovare una soluzione, ma lasciare tutto com’è. Ché, detto tra noi, quando le cose vanno male sono in molti a stare bene.

Ed ecco la nuova reale e pressante urgenza ed emergenza democratica: le bufale online, le false notizie. Non fraintendete il mio tono, è effettivamente un problema che esiste e non va sottovalutato, ma la sua risoluzione non si chiama censura. Per fare un esempio che è sotto gli occhi di tutti, secondo l’analisi della testata americana BuzzFeed, nella fase conclusiva della campagna presidenziale americana, le 20 notizie false più cliccate su Facebook hanno generato più condivisioni, più like e più commenti rispetto alle 20 notizie vere più cliccate: “Il Papa appoggia Donald Trump” (notizia falsa) ha avuto più condivisioni dell’inchiesta del Washington Post sui reati di truffa e corruzione di Trump (notizia vera).

L’ho presa larga, ma sto parlando della nostra Costituzione, quella stessa che molti vogliono difendere, che pochi conoscono e che pochissimi si impegnano perché sia effettivamente applicata. Sto parlando dell’articolo 21 di cui cito le prime righe: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili”.

E io aggiungerei questo: la tutela della libera formazione delle opinioni nelle persone è un diritto fondamentale da tutelare e se le bufale, se le false notizie presenti online mettono a rischio questa libertà la risposta non può essere il controllo dello Stato sulle conseguenze, ma la ricerca delle cause. Allo stesso tempo la soluzione non può essere far finta che il problema non esista e rivendicare il diritto a dire ciò che si vuole, ovvero il diritto all’irresponsabilità.

Giovanni Pitruzzella, presidente dell’Antitrust, rilascia al Financial Times (ecco la notizia che ci arriva dall’estero) un’intervista sullo stato dell’informazione in Italia e dice che la maggiore causa di degrado della democrazia sono le bufale che circolano sul web e sui social. Pitruzzella dice di non fidarsi del controllo che i social farebbero sulle notizie false e auspica la costituzione di una serie di istituti indipendenti coordinati da Bruxelles e modellati sull’Antitrust. Non sarebbe lavoro da affidare a società private, dice, perché: «è storicamente compito dei poteri pubblici». Afferma di non temere alcun rischio censura perché le persone «potranno continuare a utilizzare un web libero e aperto» (con “free”, l’intervista era in inglese, non credo di riferisse alla gratuità del servizio che in Italia è costoso anche quando - e capita spesso - è scadente. Ma questa è un’altra storia). Pitruzzella, a margine della sua intervista, accenna anche alla soluzione già esistente, ovvero il ricorso dei privati cittadini che si sentono danneggiati dalle false notizie all’autorità giudiziaria ma, secondo Pitruzzella, la macchina giudiziaria è notoriamente “clunky” che io tradurrei con “oberata”, “ingolfata”.

Ecco, quindi una risposta di buon senso a Pitruzella poteva essere questa: ma invece di pensare a un intervento dello Stato, non sarebbe stato meglio auspicare una riforma del sistema giudiziario dando atto delle ripercussioni che il suo malfunzionamento ha anche sulla circolazione di notizie false e sulla sostanziale impunità per chi le produce e le diffonde?

E invece no e a rispondere immediatamente è Beppe Grillo, che nella sua invettiva omette di citare le bufale da cui tutto oltreoceano era partito, e si accomoda sul banco degli imputati dicendo che è lui che vogliono zittire e censurare. Pitruzzella non l’aveva citato Grillo, che però, sentendosi chiamato in causa, rivendica di fatto il diritto alla bufala.
Conclusione: c’è chi vorrebbe censurare e chi vuole dire balle, in mezzo ci siamo noi. That’s all folks.

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