Per una volta, se permettete, qui ?si racconta una storia d’altri tempi, ma con l’intenzione di parlare di oggi, in particolare della “Sindrome Ostia” che non si manifesta solo in quella gigantesca periferia romana sul mare (250mila abitanti, più di Trieste e Messina, come Verona), ma dilaga in varie forme da nord a sud. La trama - emblematica - ruota attorno a un personaggio che a cavallo degli anni Settanta-Ottanta fu a Roma più popolare del sindaco e del capo del governo, e certamente più incisivo di ministri ?e sottosegretari. Si chiamava Aldo Tozzetti, era comunista e diventò famoso perché organizzava le “lotte per la casa”. Oggi, a decidere occupazioni e sub-assegnazioni - informano la cronache - sono Forza Nuova e la criminalità organizzata. Ecco, partiamo da qui.
Toscano, occhi azzurri, folti capelli neri pettinati con una ordinata riga ?a sinistra, basettoni, Tozzetti era sbarcato a Roma nei Cinquanta ?e il Pci lo aveva portato in consiglio comunale. Erano gli anni della ricostruzione, del boom edilizio dei palazzinari spregiudicati e delle amministrazioni conniventi (“Capitale corrotta, nazione infetta”) e dunque della grande immigrazione dal sud e dalle campagne: 600 mila, si calcola, appena usciti dal dolore ?e dalle miserie della guerra in cerca di un lavoro, di una nuova vita. ?E di una casa.
Vecchi e bambini al seguito, i nostri immigrati si arrangiavano in alloggi di fortuna, naturalmente abusivi, costruiti a ridosso delle borgate dove durante il ventennio Mussolini aveva destinato gli abitanti del centro storico espulsi dagli sventramenti di via dei Fori Imperiali e via della Conciliazione. Li chiamavano “borghetti”. Un ammasso di catapecchie con il tetto di lamiera ?e per parete d’appoggio le mura ?di un acquedotto romano. Acqua ?però niente, e nemmeno fogne ?né elettricità. Una fontanella lontana, un cesso per decine di famiglie, polvere e fango. Il cinema neorealista testimoniava: “L’onorevole Angelina”, “Il tetto”. Per questi disperati, ?Tozzetti diventò punto di riferimento, interlocutore attento, guida. ?Con spirito di autentico capopopolo. Ma in giacca, cravatta e cappottone chiaro doppiopetto.
Le prime battaglie furono per la residenza: non era un diritto, non si parlava di “ius soli” e, secondo codice e prassi, senza residenza niente lavoro, senza lavoro niente casa né residenza, e senza casa né lavoro né residenza si veniva rispediti da dove s’era venuti. Poi venne la corsa alla casa: consulte popolari, proteste, manifestazioni di piazza, anche l’atto estremo e fuori legge delle occupazioni di interi immobili appena costruiti e vuoti in attesa che venissero acquistati in blocco da banche o assicurazioni. Andrà avanti a lungo.
E qui la faccenda si fece subito ?molto delicata. Nelle periferie soffiava anche allora il vento neofascista ?e cominciavano a manifestarsi gruppi di sinistra estrema che più avanti avrebbero assunto perfino i connotati delle Br. Nel Pci, invece, si apriva una discussione preoccupata e lacerante sull’opportunità delle occupazioni abusive. Ma Tozzetti riuscì a pattinare tra le diverse esigenze, ad allontanare i fascisti e a tenere a bada i più estremisti, a farsi da garante con Botteghe Oscure e a contenere la protesta delle periferie dando a essa uno sbocco concreto: non era facile convincere gli occupanti - e non sempre ci riuscì - che si trattava di eventi simbolici e che dopo pochi giorni avrebbero dovuto lasciare le quattro mura conquistate... Finalmente, a metà degli anni Settanta le ruspe cominciarono ad abbattere ?i borghetti.
Vabbè, ma dove ci porta questo dolente amarcord? Intanto, qui si parla di un metodo. I Tozzetti d’Italia allora erano mille e non solo nel Pci, battevano città, borgate e periferie, annusavano, ascoltavano, si davano da fare. Stavano, come si diceva, “dalla parte del popolo” - con tutti i rischi e le difficoltà appena viste - senza però rischiare derive che oggi definiremmo “populiste” semplicemente perché non urlavano per urlare, ma facevano da tramite tra le esigenze dei cittadini e le istituzioni raccogliendo esigenze, incanalando proteste, sollecitando soluzioni.
Oggi partiti e movimenti di sinistra non sembrano più in grado di svolgere quel lavoro per carenza di strutture, minore disponibilità di persone e di cose, scarsa capacità di interpretare i nuovi fenomeni. E non si rendono conto che così sacrificano parte della loro identità. Vagano confusi senza contatti con un mondo che non conoscono bene e dove sono nate esigenze ?che nessuno sembra in grado di comprendere e soddisfare: precarietà, paure, il contrappasso dell’immigrazione. Eppure è proprio questo che si chiede loro. Qualcosa ?di simile, ma in scala ridotta, era accaduta negli anni Novanta quando nelle fabbriche del nordest era arrivata la Lega di Bossi. Oggi, e non solo ?a Ostia, i cittadini si dicono “abbandonati” dai partiti, ma i più giovani non sanno nemmeno chi ci fosse prima che nel loro quartiere comparissero piccoli e grandi boss delle nuove mafie. La metà degli italiani, a Ostia addirittura il 64 per cento, non va nemmeno a votare; ?di quel che resta, la metà si affida ?a grillini e neofascisti se non altro perché, spiegano, «sono sempre presenti».
Certo, il fenomeno non è solo italiano, ovunque il riformismo perde colpi in favore di movimenti vanamente protestatari e l’astensionismo cresce, ma qui c’è l’aggravante di un paese che conobbe alta partecipazione popolare e il più forte partito di sinistra dell’occidente. È anche vero che nella storia appena raccontata l’obiettivo era chiaro - la casa - e perfino raggiungibile, mentre oggi su lavoro, immigrati, sicurezza le risposte sono ardue, complesse e non a portata di mano. Ma è proprio questa la sfida: vince chi dimostra disponibilità all’ascolto, vicinanza, condivisione, ma poi anche capacità ?di governo: vorrà pur dire qualcosa ?che nemmeno il nuovismo grillino e l’ondata neofascista siano riusciti a scalare la montagna dell’astensione. Forse, al di là di alleanze, leggi elettorali e problemi di leadership, ?la sinistra dovrebbe ricominciare da qua. L’aiuterebbe anche a ritrovare l’identità perduta.
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