Forse alla fine sapremo ciò che già sappiamo. Poco. Tutti i protagonisti della vicenda, i personaggi convocati dinanzi alla commissione d’inchiesta sulle banche e i parlamentari che li interrogano, resteranno della loro idea e torneranno chi ai propri uffici chi a una campagna elettorale già invelenita di suo. Sarà la fine poco gloriosa di un’indagine ?avviata tardi e male e che invece avrebbe potuto avere esiti importanti. Siamo esagerati? Incontentabili? Pecchiamo di eccesso ?di pessimismo? In verità speriamo ?ancora in un colpo di coda, però…
In effetti ora sono previsti fuochi e botti visto che sfileranno dinanzi ai commissari il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, regista dei recenti salvataggi bancari; Ignazio Visco, confermato governatore della Banca d’Italia tra polemiche, vendette e l’accusa di non aver svolto a dovere i compiti di vigilanza; e l’ex numero uno di Unicredit Federico Ghizzoni. E sarà certamente questa la madre di tutte le audizioni visto che le esigenze politico-elettorali hanno finito per prevalere sul resto e che la questione di cui si parlerà riguarda ruolo e comportamenti di Maria Elena Boschi, ?il petalo più importante del Giglio ?magico renziano.
L’oggetto del contendere ce lo ha raccontato Ferruccio de Bortoli nel suo “Poteri (quasi) forti”. Ora, si è detto alla vigilia, Ghizzoni potrebbe pure smentire tutto: per come si sono messe le cose, ?è un discorso ipotetico del terzo tipo. Oppure, si diceva, potrebbe confermare ogni dettaglio, i suoi silenzi dopo l’uscita del libro sembrano dirci questo. Dunque, secondo i più, racconterà di nuovo che la Boschi in pieno default bancario gli chiese di valutare una possibile acquisizione ?di Banca Etruria da parte di Unicredit. Ghizzoni, come s’usa fare in questi casi, affidò la pratica a uno dei suoi già sapendo - lui e il suo dirigente - che non se ne sarebbe fatto nulla. Così è stato.
Di fatto la Boschi ha già anticipato una linea di difesa. E va bene, potrebbe dire, la richiesta sarà stata inusuale, improvvida, magari pure inquinata dal conflitto di interessi per via di papà Pier Luigi, ma non si trattò di “pressioni”, minimizzerà, solo il gesto preoccupato ?di una parlamentare di Arezzo che cercava di salvare la banca della sua città. ?E dunque, al netto dell’opportunità, ?si discetterà sulla differenza lessicale, sostanziale e politica tra pressioni ?e richieste, sollecitazioni e spinte, raccomandazioni e segnalazioni, ma ognuno resterà della sua idea. Amen.
In effetti Romano Prodi, che ne ha viste tante, da subito mise in guardia dal pericolo che la commissione finisse per fare solo «male al Paese»: niente lavori preparatori, poco tempo a disposizione (tutto finirà quando Sergio Mattarella scioglierà le Camere, questione di settimane), rischio di condizionare l’infuocata campagna elettorale e di minare la credibilità che le banche si stanno ricostruendo. E quindi poche possibilità di approfondire le questioni vere che sono dietro i default: funzioni della vigilanza, origine dei crac, responsabilità di politici e authority, insufficienza della legge bancaria.
Già, la legge bancaria del 1936 mette ?al primo posto la stabilità del sistema e quindi ha formato generazioni di banchieri centrali perché evitassero a tutti i costi ?i fallimenti delle banche. Ma dall’anno scorso, dopo ottant’anni, una legge europea (il bail-in) ha capovolto quella impostazione: le banche possono fallire, anzi devono se serve a curare la malattia, e molti risparmiatori sono chiamati a pagarne le conseguenze. Quella vecchia legge, dunque, la filosofia che la ispira ?e i comportamenti che ne conseguono sono da ridiscutere, rivedere, aggiornare. Ma non se ne parla.
Nell’attesa, la magistratura lavora. ?Sono una decina le inchieste aperte e sembrano camminare su una strada parallela. Qualche giorno fa, per esempio, Beppe Fornasari e Giuseppe Mussari, patron l’uno di Banca Etruria e l’altro ?di Mps, sono stati assolti dal reato di ostacolo alla Vigilanza, architrave di tutte le indagini sui dissesti (per Gianni Zonin e Vincenzo Consoli, Popolare di Vicenza e Veneto banca, invece, l’accusa è ancora in piedi). Mussari era stato protagonista dell’acquisizione monstre di Antonveneta pagata molte volte di più del suo valore. Non c’erano allora robuste ragioni industriali e finanziarie che giustificassero l’azzardo, ma politiche sì perché i tanti poteri senesi volevano a tutti i costi che ?la loro banca fosse inscalabile. Così fu.
Per coprirsi dai rischi di un acquisto troppo oneroso, Mps si era dotata di una complessa garanzia finanziaria, un rischioso derivato chiamato Alexandria. La Banca d’Italia ha sempre detto di non aver potuto visionare il relativo contratto finché Mussari è stato al suo posto: ostacolo alla Vigilanza. Quel reato ora ?è caduto, ma scopriremo perché solo quando leggeremo la sentenza, tra qualche mese, magari a urne già chiuse: perché non ci fu dolo, o perché Mps ?aveva fornito a Banca d’Italia tutte ?le informazioni? Visco ora dirà la sua, ?e poi la magistratura, non la politica che quando non sa che pesci pigliare lascia spazio a giudici e pm. Salvo gridare poi all’invasione di campo.
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