Napoli chiama militanza. Nulla di ciò che nasce a Napoli, nessun prodotto culturale può essere davvero solo evasione. Essere napoletani, nascere a Napoli, crescerci o scegliere di viverci ha sempre significato combattere, contro qualcosa o qualcuno: la camorra, la politica, la borghesia, contro chi combatte la camorra, la politica, la borghesia. Tutti a Napoli vorremmo cambiare lo stato delle cose e tutti combattiamo un’idea della città con cui non riusciamo a convivere. Ciascuno a suo modo, trovando il proprio antagonista e sapendo che non esistono a Napoli buoni e cattivi, esistono storie, storie che bisogna raccontare.
Da bambino, come tutti i figli degli anni Settanta, il mio immaginario era saturo di anime (animazioni tratte dai manga): una generazione di autori giapponesi produceva fumetti e poi cartoni animati senza mai dimenticare gli orrori della Seconda guerra mondiale e quello che le bombe atomiche avevano significato per il Giappone. I landscape, spesso desolati, non lasciavano spazio a personaggi senza spessore: non ce n’era per la banalità, sia del bene che del male. Nessun eroe positivo era senza macchia e nessun malvagio senza un passato di sofferenze che ne aveva determinato la discesa agli inferi. Cosa avevano quelle storie in comune con me? Per quanto complesse fossero le trame, ci voleva un attimo per capire che raccontavano qualcosa di importante e, soprattutto, di utile. Erano storie di disagi, di sofferenze, di distruzione, di guerra. Di riscatto e resistenza, di impegno e, appunto, di militanza.
E questa attitudine alla militanza culturale l’ho avvertita, assai forte, nel lungometraggio di Mad Entertainment diretto da Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone. È stato un dettaglio, una frase, a farmi sentire in sintonia con “Gatta Cenerentola”. Le pronuncia Primo Gemito (che nome incredibile! verosimile eppure incredibile), un uomo che non nutre più alcuna speranza di cambiare le cose, epperò sa che le persone si possono ancora salvare. «Se non fosse per quelli che ne fanno una questione personale - dice - questo mondo sarebbe abbandonato a se stesso».
Vittorio Basile (omaggio a Vittorio De Sica e a Gianbattista Basile) è un armatore napoletano, è un visionario. Ha per la città un progetto ambizioso: Il polo della scienza e della memoria, un luogo avveniristico in una Napoli in bilico tra passato e futuro. Basile è l’inventore del fotoscandaglio, una macchina in grado di registrare ciò che accade per riprodurlo in ologrammi. E la realtà virtuale, vera più di quella di carne e sangue, è protagonista del film. Evoca ricordi, svela meccanismi. Gatta Cenerentola è la figlia di Basile, orfana a tre anni per la fame di potere del RE, un boss dai mille talenti, come ogni criminale, e tutti male indirizzati. È cantante dalla voce potente, una voce cattiva, è produttore di scarpe, trafficante di droga. Per lui Napoli non è città da cambiare, da migliorare. Napoli deve restare com’è, disperata e senza speranza. Chi sceglierebbe mai l’infame vita del sicario, del guardaspalle, dello spacciatore, del palo, quale donna si prostituirebbe se potesse sperare in altro? E al Re servono spacciatori e prostitute, sicari e guardaspalle, servi di una città immobile, dove il cambiamento fa paura a tutti, a chi dalla “monnezza” guadagna, a chi a stento galleggia. È così sullo schermo, è così nella realtà.
E dal ventre di Napoli, un ventre che inghiotte, al ventre della Megaride, nave modello, gioiello di ingegneria e innovazione. Ma la Megaride, morto Basile, il suo creatore, è ormai una phantom ship ormeggiata nel porto, dentro di lei convivono ologrammi e persone in carne e ossa che mettono in scena la storia corale di una cenerentola muta, una pura d’animo che non cova rancore, ma a cui solo la vendetta potrà restituire la parola, forse, e di certo la vita. “Gatta Cenerentola”, come tutto ciò che produce Napoli, ferisce. Non c’è speranza perché niente e quasi nessuno si salva; tutto verrà distrutto, soprattutto il sogno di Vittorio Basile, che era un sogno di cambiamento. Il Polo di Basile al porto di Napoli mi ha ricordato un sogno che so irrealizzabile, che cambierebbe il volto della città: il Guggenheim di Bagnoli, nell’area dell’ex Italsider. Perché sono i sogni a far crescere gli uomini e i luoghi in cui vivono.
Eventi15.04.2013
Torno alla luce nella mia Napoli