Opinioni
4 ottobre, 2018

Ti rompo lo Stato con un whatsapp

L’escalation verbale di Salvini e Di Maio somiglia sempre di più a un piano per fare il deserto. E restare soli al comando

L’attacco verbale alle istituzioni è in crescita non solo per contenuti e toni ma soprattutto per quantità. Il Def in corso di costruzione ha provocato crisi da star capricciose e non da governanti ma nel mondo gialloverde nervi saldi e parole responsabili sono considerate una barba e fanno crollare lo share.

Il governo, cioè i due vice premier, gli unici con facoltà di esternare quanto e quando vogliono - prima Di Maio poi Salvini o viceversa forse dipende dalla luna - sembra sempre più nervosetto e non si capisce se è una messinscena. Di giorno in giorno la comunicazione è così paradossale, zero istituzionale e sempre più stressata da alimentare il sospetto che l’obiettivo sia studiato a tavolino. Per capire fino a che punto ci si può spingere. E per vedere l’effetto che fa.

Gli aggettivi per definire avversari politici e predecessori sono assai leggiadri. I governi precedenti? «Aguzzini del popolo italiano». Matteo Renzi? «Chi ha fatto il Jobs Act è un assassino politico», un linguaggio così caruccio è farina del sacco di Di Maio. Gli attacchi ai «professoroni, ai gufi, ai rosiconi» dell’ex premier Pd che suscitavano scandalo e ludibrio appaiono vocabolario di Peppa Pig. Silvio Berlusconi che si avventurava fino alla definizione «teatrino della politica» da un punto di vista lessicale era un vero peluche.

Nei suoi imprudenti WhatsApp l’intoccabile portavoce dei 5S e del premier Conte, Rocco Casalino, pare ispirarsi ai film sulla Chicago degli anni Trenta. Nell’ormai celeberrimo messaggio vocale ha promesso che gli alti burocrati del ministero dell’Economia saranno oggetto di una «megavendetta» («sarà una cosa ai coltelli») se non obbediscono ai diktat della maggioranza e intanto li definisce «pezzi di m.. ». Il tiro si alza sempre di più o meglio si abbassa dato lo specifico caso appena segnalato.

Nessuno del governo si è scusato, lo scialbo premier Conte si è schierato con Casalino, i Cinque Stelle non ne parliamo. Nelle legislature precedenti dichiarazioni del genere avrebbero suscitato un finimondo e il reo starebbe allevando moronidi a Pozzuoli. Va detto che nelle stanze dei bottoni, mai in pubblico, i potenti amano lasciarsi andare a espressioni da fascia protetta. Almeno così ci hanno insegnato le fiction West Wing e House of Cards.

Il ministro Tria, che ha una lieve rassomiglianza con il cartoon di Mr Bean, finora ha mostrato una fibra titanica e ha ingoiato non pochi rospi. «Un ministro serio deve trovare i soldi», ha avvertito la solita libellula Di Maio dall’alto delle sue esperienze economiche e lavorative (nessuna). Poi non ha nascosto di dubitare del Ragioniere generale dello Stato Daniele Franco, «non posso dire se mi fido o non mi fido». Mentre in una lettera su Facebook ha citato il «lato oscuro dello Stato». Ah, ecco ci mancava il tocco da Belfagor.

Salita al potere, la creatura tre quarti grillina un quarto leghista (ora stando ai sondaggi le proporzioni sembrano diverse) ha attaccato subito istituzione su istituzione minacciandole, mettendole in cattiva luce, senza rispetto e limite, nessuno escluso tranne la sacralità dei totem Grillo e Casaleggio. Una sorta di lenta assuefazione dell’opinione pubblica alla denigrazione delle istituzioni al massimo criticate prima, mai insultate, per alimentare soprattutto la pancia del proprio elettorato spingendosi sempre più in là in una marcia chiodata di presa del potere.

Forse proprio pensando a quella pancia nel mezzo delle polemiche sulla manovra economica e sulle possibili reazioni di Bruxelles Salvini ha dichiarato «Lo spread ce lo mangiamo a colazione». E poi: «Se a Bruxelles mi dicono che non lo posso fare me ne frego e lo faccio lo stesso».

Nessuno escluso. Persino il Colle e non è la prima volta. Quando il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il più popolare di tutti, ha lanciato il richiamo istituzionale ai «conti pubblici solidi e in ordine», Salvini ha risposto con un virtuale e un po’ spazientito tap-tap sulla spalla quirinalizia: «Ho detto che può stare tranquillo». Noi non tanto, anzi per niente, questo è l’effetto che fa.

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