Sull’offensiva turca ad Afrin nessuno muove un dito. Al massacro contro i curdi è stato dato un nome che sembra innocuo: “Ramoscello d’ulivo”. Un simbolo di pace per descrivere un bagno di sangue. Ma Erdo?an, che vuole arrivare a Manbij con le sue truppe, continua indisturbato a sterminare i curdi, prima eroi anti-Isis, ora inutile ostacolo all’ottomanismo turco. Chi potrebbe avere un peso ed essere ascoltato oggi tace. Troppi sono gli interessi in gioco per opporsi a questo massacro: all’Unione europea la Turchia garantisce il blocco dei migranti diretti in Europa, ed è quindi un alleato troppo prezioso per osare contrastare le sue politiche; gli Stati Uniti non si intromettono perché hanno in Turchia delle basi militari fondamentali. Ecco spiegato il silenzio: l’interesse di tutti oggi è tacere.
Intanto i curdi siriani non sono altro che carne da macello dell’artiglieria turca. E qui c’è un altro paradosso: Erdo?an è pagato dall’Unione europea per bloccare i profughi diretti in Europa, ma contemporaneamente sta creando profughi, cioè i curdi che sta perseguitando. Già 100 mila persone sono scappate da Afrin per sfuggire alle ostilità. Sullo sfondo, una Turchia sempre più autoritaria, dove l’informazione è completamente egemonizzata da Erdo?an. Pochissimi in maniera dettagliata (tra questi Mariano Giustino da Ankara per Radio Radicale, Articolo21 e Middle East Eye) e tanti altri senza troppo approfondire, hanno raccontato come il quotidiano Hürriyet, la Cnn Türk e tutto il più grande gruppo mediatico turco, il Do?an Media Group, siano finiti sotto il controllo di Erdo?an.
Il repulisti era iniziato dopo il fallito golpe dell’estate 2016: la polizia aveva perquisito le abitazioni e gli uffici di Yahya Uzdiyen (ex direttore esecutivo del gruppo) e Erem Turgut Yucel (consigliere legale), poi arrestati e rilasciati a novembre 2017 con divieto di recarsi all’estero. Il loro arresto era naturalmente collegato a quello del rappresentante amministrativo ad Ankara della holding, Barbaros Muratoglu (poi assolto a novembre 2017), accusato di avere legami con Fetullah Gulen, l’imam considerato da Erdo?an la mente del fallito colpo di Stato. Con il passaggio del gruppo Do?an nelle mani di Erdo?an, in Turchia restano solo piccoli media indipendenti come Cumhuriyet e pochissimi altri. In più ci sarà un sempre maggiore controllo sui contenuti sui social media. Dobbiamo prendere coscienza di cosa accade ai confini dell’Europa perché, contrariamente a ciò che crediamo, non è la democrazia a essere contagiosa, ma il suo esatto opposto e l’autoritarismo di Erdo?an è una seria minaccia per tutti.
Ciò che sta accadendo ad Afrin, ci impone di guardare attentamente a quel che succede in Siria, dove la situazione è complicatissima e a farne le spese sono i civili. Centinaia di migliaia di bambini vengono uccisi nel modo più atroce: ne ho parlato su Raiuno, invitando chi domenica scorsa era davanti al televisore a scegliere tra cambiare canale e fingere che nulla di tutto questo stia accadendo o guardare dritto in faccia fin dove porta anche il nostro scellerato silenzio. Ci sono video di bimbi che esalano l’ultimo respiro tra le braccia di genitori inermi; bambini che muoiono perché intossicati dal gas che brucia ossigeno nei polmoni. Assad è un dittatore sanguinario, il fronte che lo combatte dal 2011 è frammentato e al centro vi è la popolazione civile che fa da scudo umano, altra carne da macello. Dal 18 febbraio muoiono in Siria 50 persone al giorno, la maggior parte civili e tra questi moltissimi bambini. Quello che accade non è solo intollerabile, ma impone a tutti noi una presa di posizione. La guerra in Medio Oriente ci riguarda non semplicemente perché rende insicure anche le nostre città per gli attentati dell’Isis, ma perché gli equilibri mondiali si decidono sulla pelle di chi non ha strumenti per difendersi. Guardiamo attentamente le immagini dei civili massacrati, dei bambini morti e di quelli mutilati, e prima di dire “siamo invasi” e “aiutiamoli a casa loro” pensiamo che all’Italia non conviene aiutare le vittime, ma i carnefici. Alla luce di tutto questo, alla luce di strategie inumane, ciò che resta per salvarci la coscienza è smetterla di criminalizzare chi viene in Europa e chi salva migranti. Ad avere una coscienza si vive meglio, ma questo sembriamo averlo dimenticato.