Il vetro soffiato

Perché Shakespeare resta il più grande

di Eugenio Scalfari   6 febbraio 2019

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Amleto è il capofila dei tanti immortali personaggi creati dal Bardo seicento anni fa. Che hanno già saputo rappresentare la condizione dell’uomo moderno

«To be, or not to be, that is the question», essere o non essere, questo è il problema. William Shakespeare si presenta in questo modo. Lo dice Amleto quando cerca il padre nei cieli, e lo dice l’Autore in tutta la sua opera drammatica, psicotica, eroica, poetica e soprattutto moderna nel senso immanentistico della vita.

Naturalmente non era e non sarà il solo, in qualche modo fu preceduto da Dante Alighieri e poi da Montaigne, da Cartesio, da Machiavelli, ma potrei fare un elenco interminabile del profondo significato del motto shakespeariano. Essere non significa vivere e contiene un’onda di pessimismo che emerge nelle sue principali drammaturgie. Naturalmente la prima figura che corrisponde al motto shakespeariano è il personaggio mitologico di Teseo che uccise il Minotauro nel labirinto e dal labirinto uscì seguendo il filo rosso di Arianna che rappresenta tuttora la necessità di cercare la soluzione nei problemi dei singoli, delle masse, della politica e della socialità. Dante naturalmente non è il solo a precedere Shakespeare, nella storia della letteratura lo precede cronologicamente soprattutto nel suo Inferno della Divina Commedia.

Nella stessa epoca di Shakespeare, cioè dagli ultimi anni del Cinquecento ai primi del Seicento, c’è un altro grande poeta: Cervantes, l’autore del Don Chisciotte della Mancia. I due non si conobbero mai né si lessero reciprocamente, se non altro perché parlavano e comprendevano due lingue assai diverse tra loro. Ma il Don Chisciotte ha un valore poetico analogo alla drammaturgia shakespeariana; la maggiore curiosità è che morirono entrambi lo stesso giorno dello stesso anno sempreché Shakespeare corrisponda alla persona di cui esiste la tomba con le date della nascita e della morte. Sussiste infatti il dubbio che lo scrittore, che è uno dei centri della cultura mondiale, fosse la persona nominata con le date di nascita e morte ma che i drammi siano stati scritti da altri: è un dubbio che peraltro col passare del tempo e delle ricerche anagrafiche sta scomparendo.

La varietà nei drammi shakespeariani è estremamente numerosa: va da tragedie vere e proprie a drammi di vario genere a volte anche leggeri e a commedie vere e proprie. Quelle che emergono sono Amleto, Macbeth, Antonio e Cleopatra, Giulietta e Romeo, Riccardo III, Enrico IV ed Enrico V di Inghilterra, Re Lear, La tempesta e molti altri.

Abbiamo visto quelli che hanno preceduto Shakespeare e di gran lunga dal punto di vista cronologico ma ci sono anche quelli che sono venuti dopo di lui ma hanno avuto presente la sua figura artistica. Quello che viene immediatamente in mente è Leopardi e forse anche Montale per limitarsi agli italiani.

I lettori probabilmente si domanderanno perché mai oggi affrontiamo in questo intervento una figura così nota e così letta negli ambienti della cultura classica. Lo facciamo per diversi motivi. Anzitutto la prevalenza dell’essere sul vivere: una vita umana può essere confinata al semplice dispiegarsi degli istinti che anche la nostra specie ha dello stesso genere animalesco dal quale proveniamo. Si vive anche di soli istinti anche se nella nostra specie possono essere leggermente arricchiti ma comunque prevalenti su ogni altro strumento vitale, ma la specie umana trasforma radicalmente gli istinti in sentimenti e i sentimenti in valori ideali e mentali. La mente, come più volte ho ricordato in precedenti mie scritture, è un organo del tutto incorporeo: emerge in parte da alcune zone cerebrali e dall’apporto di altri organi del nostro corpo ma comunque non corrisponde ad un organo corporeo anche se contiene nientemeno che il pensiero, anch’esso un’entità valoriale del tutto incorporea. Il motto dell’Amleto shakespeariano racchiude questa realtà e la manifesta artisticamente: essere o non essere è molto diverso dal vivere o non vivere, sono due realtà molto differenti ma al tempo stesso connesse tra loro: non si può pensare senza vivere ed è al tempo stesso inutile vivere senza pensare.

Questa realtà si sta però profondamente trasformando e l’aspetto più curioso è che la trasformazione avviene per alcune cause poco numerose ma estremamente importanti: il mutamento del clima, le nuove tecnologie della comunicazione, lo spostamento dei continenti, lento ma percepibile attraverso la diffusione sempre più frequente dei terremoti, che coinvolge soprattutto l’Africa che ha un rapporto attrattivo con le terre dalle quali milioni di anni fa si divise: l’America e l’Europa.

Ci si può chiedere che cosa c’entrano questi problemi con la cultura letteraria e gli autori che meglio la rappresentano e la risposta è abbastanza facile: la cultura è uno degli aspetti che distingue la nostra specie poiché dota ciascun individuo dell’Io: siamo cioè autoconsapevoli della nostra esistenza e di come essa si svolge. Artisti come Dante o Shakespeare per nominarne soltanto due, rappresentano l’Io con una intensità piuttosto rara così come è rara più in generale la cultura letteraria. Ma il loro pensiero evoca riscontri molto più moderni e tuttavia assai significativi: Nietzsche, Freud, Leopardi, Edgar Allan Poe e molti altri per non parlare dei lirici greci, da Saffo ad Alceo. Shakespeare è il più moderno di questa cultura e la sua modernità è espressa da alcuni personaggi estremamente importanti che abbiamo già nominato. Amleto è il più significativo e non a caso il suo finale è d’esser portato verso la tomba celeste sulle spalle dei soldati di Fortebraccio, è un personaggio al tempo stesso generoso, coraggioso, sessualmente attratto dalla madre. Se dovessimo scegliere che cosa è che distingue Shakespeare da tutti gli altri scrittori credo che potremmo limitarci appunto ad Amleto, creato nei primi anni del Seicento e ancor più attuale nel Duemila. A quattrocento anni di distanza questo ci dà la misura dell’autore che l’ha creato.