È indispensabile imparare ora la lezione. Perché l’emergenza sanitaria e quella ecologica sono simili sotto molti aspetti ed è essenziale non ripetere gli stessi errori

Vignetta di Graeme MacKay
La vignetta ha la forza dell’immediatezza: l’onda con la scritta Covid-19 sta per travolgere un’isola, ma viene a sua volta minacciata da un cavallone più grande, chiamato recessione. Quest’ultimo viene tallonato da un’onda ancora più imponente, con su scritto “cambiamento climatico”. Diventata virale, l’immagine del disegnatore canadese Graeme MacKay ben illustra i rischi connessi al surriscaldamento globale, che appaiono assai più dirompenti dell’attuale pandemia. Se l’emergenza sanitaria ha fatto passare in secondo piano le azioni volte a ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici, può essere utile mettere a confronto i due fenomeni, proprio per evitare che la profezia della vignetta si avveri e l’emergenza climatica ci travolga come uno tsunami.

Le due crisi sono simili, eppure radicalmente diverse. Tutte e due hanno un carattere sistemico, cioè stravolgono il sistema socio-economico nel suo complesso. Ed entrambe evolvono seguendo una progressione geometrica: superato un certo livello, hanno effetti moltiplicatori che le rendono catastrofiche. Sono poi figlie dello stesso modello di sviluppo: a furia di cementificare, consumare risorse, inquinare e deforestare aree immense del pianeta, abbiamo moltiplicato a dismisura le emissioni di gas a effetto serra, causando l’aumento della temperatura media globale. Al contempo, abbiamo fatto saltare la separazione tra zone selvatiche e zone abitate, avvicinando i virus agli esseri umani e facilitando quelle zoonosi - o salti di specie - di cui oggi misuriamo le conseguenze.

Questo per quanto riguarda le similitudini. Ma le differenze sono pure di non poco conto. La più vistosa è che l’attuale crisi sanitaria non è un evento cosiddetto “trasformativo”: una volta superata, come avverrà con l’arrivo del vaccino, si tornerà probabilmente allo status quo ante. Lo stesso non può dirsi per la crisi climatica: in questo caso, ogni limite che viene oltrepassato rappresenta una porta che si chiude per sempre. I ghiacciai che si fondono non si ricostituiranno più. Il livello dei mari che si alza non retrocederà. L’aumento della temperatura non invertirà il proprio corso. L’unica cosa che possiamo (e dobbiamo) fare è rallentare questa tendenza, mettendo in campo politiche volte a ridurre le cause antropiche del processo e adattandoci a quello che sarà comunque il nuovo scenario. Ma qui interviene la seconda differenza con il Covid-19: la crisi climatica non esplode ovunque in un unico momento. Si dispiega diffusamente e in modo graduale. Trasmette così la percezione che non minaccia le nostre vite nell’immediato, ma al massimo quelle delle generazioni future, che magari non sono ancora nate. Si tratta di quella che, in un celebre discorso ai Lloyd’s di Londra, l’ex governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney ha definito «la tragedia dell’orizzonte»: poiché si presume che il rischio non sia “qui e ora” e che l’orizzonte temporale di decisioni prese oggi sia troppo avanti nel tempo per misurarne le conseguenze, non si fa nulla. In pratica, osserviamo l’onda che si gonfia sperando che non si abbatta su di noi.

Da questo punto di vista, dovremmo trarre una lezione proprio dal Covid. Pure lì è intervenuta in una certa misura la tragedia dell’orizzonte: gli allarmi sull’eventualità di una pandemia globale lanciati negli ultimi anni sono stati ignorati. I piani pandemici non sono stati approntati. Anche quando il virus si è diffuso inizialmente in Cina, ci si è attardati a prendere decisioni che avrebbero contenuto i contagi. E così oggi stiamo gestendo una crisi con costi enormemente più alti di quelli che avremmo dovuto sostenere per prevenirla.

Vogliamo ripetere lo stesso errore? Vogliamo davvero ignorare i segnali che sempre più evidenti ci dovrebbero spingere all’azione? Una cosa è certa: la vignetta di MacKay ha il giusto senso delle proporzioni. L’onda d’urto del cambiamento climatico sarà infinitamente più devastante di quella del Covid. E, se non facciamo nulla, il momento in cui si abbatterà sulle nostre teste rischia di essere molto meno lontano di quanto crediamo.