Lo scrittore con “la lentezza” ci ha spiegato la matematica esistenziale del tempo umano. Da riscoprire, in un’epoca che impone dogmaticamente la fretta

12 luglio 2023: Lo scrittore ceco Milan Kundera è morto a 94 anni a Parigi, dove si era trasferito dal 1975. Era nato a Brno, il 1 aprile 1929. Il suo primo grande successo fu "Lo scherzo", del 1967. Seguito da "Il valzer degli addii", quindi nel 1984 dal successo planetario de "L'insostenibile leggerezza dell'essere".

 

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Prendiamo una situazione delle più banali: un uomo cammina per la strada. A un tratto cerca di ricordare qualcosa, che però gli sfugge. Allora, istintivamente, rallenta il passo. Chi invece vuole dimenticare un evento penoso appena vissuto accelera inconsapevolmente la sua andatura, come per allontanarsi da qualcosa che sente ancora troppo vicino a sé nel tempo».

Milan Kundera pubblica “La lentezza” nel 1995 consegnandoci riflessioni sull’essere umano, sull’utilizzo che fa e sulla percezione che ha del tempo; riflessioni che oggi ci sono utili per capire cosa accade quando deleghiamo alla tecnologia la mediazione tra uomo e vita, tra uomo e ciò che accade, tra uomo e politica e, in ultima istanza, tra uomo e uomo.

«C’è un legame segreto fra lentezza e memoria, fra velocità e oblio”, dice Kundera e aggiunge: “[…] la nostra epoca è ossessionata dal desiderio di dimenticare, ed è per realizzare tale desiderio che si abbandona al demone della velocità».

Questa ultima considerazione non ha solo un valore filosofico, ma anche e soprattutto pratico, perché non si dimenticano solo le sofferenze: si dimentica soprattutto l’esperienza, la storia, le best practice e ciò che è accaduto e che possibilmente non dovrebbe ripetersi mai più.

È qui la chiave di volta. Al motociclista l’ebbrezza della velocità fa dimenticare tutto, fa dimenticare il futuro perché la concentrazione è tutta sul momento attuale. E senza il pensiero del futuro, l’uomo dismette ogni paura. Nel camminare invece - gli arti inferiori che impattano il suolo, l’affanno, la stanchezza, magari la sete - il corpo ci ricorda che la sua velocità di crociera è esattamente quella che può sopportare. Nessuna possibilità di appaltare quel lavoro.

Il movimento affidato al mezzo meccanico è una metafora che spiega benissimo cosa accade quando il corpo non è coinvolto nell’azione che stiamo compiendo. Semplificando si giunge a una deresponsabilizzazione che spiega bene la superficialità - per non dire la ferocia - di certa politica, la violenza di certi commenti sul web che, dapprima incorporei e immateriali, finiscono per entrare prepotentemente nelle nostre materialissime e concretissime vite, condizionandole, spesso peggiorandole.

«La velocità è la forma di estasi che la rivoluzione tecnologica ha regalato all’uomo», continua Kundera. «Ma quando (l’uomo ndr) delega il potere di produrre velocità a una macchina, allora tutto cambia: il suo corpo è fuori gioco, e la velocità a cui si abbandona è incorporea, immateriale – velocità pura, velocità in sé e per sé, velocità estasi».

E nell’estasi della velocità, che decisamente smette di essere un valore e che diventa, filosoficamente, un mezzo per raggiungere l’oblio e, praticamente, una scorciatoia per portare attenzione su di sé, finiamo per accettare un racconto della realtà incompatibile con ciò che viviamo, che vediamo, che sperimentiamo, ma perfettamente in linea con la volontà di perdersi nell’oblio che impone le sue regole sui social.

Il grado di lentezza è direttamente proporzionale all’intensità della memoria; il grado di velocità è direttamente proporzionale all’intensità dell’oblio: cerchiamo di non dimenticare queste due equazioni della matematica esistenziale di Kundera; ricordiamocene quando pretendiamo che tutto accada nel minor tempo possibile, quando pensiamo di non avere tempo da concedere all’approfondimento, alla comprensione, alla lettura, all’ascolto. Ricordiamocene quando avvertiamo forte lo scollamento che tra ciò che viviamo e ciò che ci raccontano; quella è la spia, e ci dice: fermati! Prenditi del tempo. Non è l’oblio la strada da seguire. Non si vive per dimenticare, ma per ricordare.