Ho ereditato questa pagina da Giorgio Bocca. Uno sguardo critico e partigiano sulle nostre contraddizioni. Ora passo il testimone
Difficile ed esaltante: queste sono state le parole con cui, nel 2012, accettai l’invito di Bruno Manfellotto, che in quegli anni dirigeva questo settimanale, a ereditare l’Antitaliano, la rubrica che fu di Giorgio Bocca. Non so trovare ora le parole per descrivere quello che provai… Orgoglio e sicuramente paura. Avevo trentatré anni, e in Italia a trentatré anni, professionalmente, si è considerati poco più che ragazzi. Che mi venisse affidata la rubrica di Bocca mi lusingava, e allo stesso tempo mi faceva capire che con me si stava provando a scardinare un tabù, quello che vede i più giovani sempre relegati alle seconde file, sempre in attesa di un’occasione, sempre costretti a rosicchiare spazi, ad accontentarsi di ciò che resta… Io di opportunità ne ho avute tante e le ho pagate tutte (o quasi) a caro prezzo, ma le ho avute, e questo conta. Le ho avute grazie a chi non mi ha mai considerato troppo giovane, troppo inesperto, troppo meridionale, troppo di sinistra, troppo pericoloso o troppo ingombrante.
Le ho avute grazie a chi ha scommesso su di me, sulle mie idee, sul mio impegno, sulla mia passione per la scrittura, sulla mia voglia di raccontare e mettermi alla prova, sulla mia incoscienza, anche sulla mia incapacità di vedere il pericolo e quindi di applicare quella prudenza che, per chi fa il nostro lavoro, va a braccetto con l’autocensura.
Dopo aver ricevuto da Bruno Manfellotto in eredità la rubrica di Bocca, ho sperimentato qualcosa di estremamente nuovo per me, ho provato un’emozione particolare, un’emozione a lento rilascio, un’emozione costante che cresceva goccia dopo goccia, settimana dopo settimana… Perché lo spazio di Bocca è stato lo spazio di un giornalista partigiano, che voleva smontare, una a una, raccontandole, tutte quelle caratteristiche che rendono l’italiano schiavo di se stesso, schiavo di ciò che deve rappresentare più che essere. Il familismo, la furbizia, il servilismo, l’imbroglio, persino l’estro, sì, l’estro che deve sopperire al diritto: scardinare tutto questo serviva non banalmente a creare dibattito, ma a dare ossigeno a un Paese che stava crescendo rapidamente e non aveva consapevolezza di ciò che stava diventando. E se “antitaliano” è tutto ciò che sfugge alla ridicola retorica del paese bello per forza, se “antitaliano” è chiunque provi a guardare con sguardo critico alle nostre contraddizioni, sono fiero di esserlo stato per quasi un decennio e, al contempo, sono convinto che lo sarò per sempre.
Su ogni passaporto dovrebbe essere scritto, a caratteri cubitali, che la cittadinanza coincide con lo sguardo critico, col prendere parte, col sentirsi protagonista del proprio tempo e consapevole che per cambiare le cose non c’è altro modo che accendere un faro sulla piaga, anche se incrinerà l’armonia del golfo più bello, del cielo più limpido, dell’opera d’arte più amata.
Questo è il mio ultimo Antitaliano. Lascio uno spazio che ho amato visceralmente perché gli orizzonti sono cambiati. Ringrazio Bruno Manfellotto per avermi arruolato e Marco Damilano per aver sempre difeso le parole che sono apparse qui.
Sono molto felice di passare il testimone a una intellettuale e a una amica, perché a questa pagina ho voluto molto bene: sono felice che il prossimo “antitaliano”, anzi, la prossima “antitaliana” sarà Michela Murgia. Ecco qui, Michela, è tutto tuo… in bocca al lupo!
Circa noi: grazie, grazie per avermi letto in questi anni… non avete idea di quanto la vostra attenzione mi abbia fatto stare bene. Qualche anno fa, a Napoli, alla fine di un incontro al Modernissimo, storico cinema che frequentavo da ragazzo, mi si avvicina un uomo sulla cinquantina, tunisino. Ha in mano una copia de L’Espresso con aperta la pagina del mio ultimo Antitaliano. Mi chiede di autografare quella pagina e mi dice: «Roberto, grazie per quello che scrivi qui. Leggo l’Antitaliano ogni settimana, non è stato facile all’inizio, e non è facile nemmeno adesso, ma piano piano, anche leggendoti, sto imparando l’italiano».
Ecco, questa cosa mi ha fatto sorridere… Che si possa imparare un po’ di italiano da un antitaliano! Grazie di tutto, a presto!