A distanza di due settimane dal linciaggio ricevuto, vale la pena di una piccola riflessione contestuale su “Da Grande”, lo show di Alessandro Cattelan trasmesso da Raiuno per un paio di domeniche. Naturalmente, giacché mi capita talvolta di trafficare con copione e scalette, mai e poi mai mi esibirei in giudizi di merito su trasmissioni altrui. Però, se è concesso, con licenza, mi pare di poter trarre dall’accaduto, dalla messe di critiche, dal tono complessivo delle recensioni, che potremmo racchiudere nella frase “ma come ti permetti?”, un dato sistemico: ammazza quanto siamo vecchi. Voglio dire: certo che Cattelan può non piacere. Certo che si possono valutare con disgusto le stesse idee che su Sky, quando faceva l’1 per cento, raccoglievano i peana della critica tutta. Certo che si potevano pretendere manovre di allunaggio più dolce sul pianeta della tv generalista ma… sarà mica che il tutto vi stava sui coglioni perché veniva da un tizio senza pedigree? Sarà mica che ogni digressione men che tradizionalista scatena le raffiche automatiche di chi chiede rinnovamento solo a patto che non arrivi mai? Detto che solo in Italia un over 40 può essere accolto con la sufficienza che si riserva, sbagliando, agli sbarbati, ché negli Usa gente come Bo Burnham fa sfracelli e di anni ne ha meno di 30, sarà mica che la baronia, insieme al familismo, sono la vera malattia di questo curioso Paese? Attenzione: non parlo dei critici di professione.
Chi parla di tv per mestiere, sempre più spesso sbeffeggiato a vuoto da chi non sa accettare i diversi pareri, ha quasi il dovere di sparare a pallettoni. Ma molto più rivelatore, nello specifico, è stato il fuoco degli intellettuali, dei turisti del 4K, di chi davanti a un telecomando saprebbe al massimo inghiottirlo, che hanno fatto la morale all’Icaro che volò troppo in alto per spiegarci che un’altra televisione non è possibile e manco la vogliamo. Gente che dà buoni consigli non potendo dare il cattivo esempio, ché sennò il prossimo saggio sul sesso dei delfini nella socialdemocrazia mica te lo pubblicano, pronta a discettare sul “fallimento” altrui come al gran galà dei Tomasi di Lampedusa. Ora Cattelan farà lo Eurovision Song Contest perché è l’unico dei conduttori italiani che sa pronunciare la frase “the pen is on the table” senza cadere faccia in avanti. E ritroverà estimatori. Perché siamo così, dolcemente provinciali. E perché la cultura italiana, specie quella “alta”, sempre applicherà, a chiunque non sia in odor di pensione, dunque di venerazione, il modello su cui si basano sia la fuga di cervelli che la permanenza dei coglioni: aiutiamoli a casa altrui. Basta che se ne vadano in fretta.
GIUDIZIO: E POI C’È MATUSALEMME
************
PUBBLICAZIONE A OROLOGERIA
ARCHETIPO
Dicesi pubblicazione a orologeria qualunque rivelazione su un partito politico pubblicata subito prima, subito dopo, o durante le elezioni. Esempio: «Proprio oggi che mancano tre giorni al voto: è una pubblicazione a orologeria». Oppure: «Proprio oggi dopo le elezioni, è una pubblicazione a orologeria». O ancora: «Proprio oggi a (inserire valore da 1 a 365) giorni dalle elezioni: è una pubblicazione a orologeria». Nb: per essere efficace, l’espressione ha da essere titolata su un qualunque quotidiano satirico (Libero, la Verità, etc) almeno in corpo 24.
GIUDIZIO: TIC TAC