Nel film tratto dalle “Illusioni perdute” si mostra il potere dell’opinione pubblica di creare e distruggere reputazioni solo per cinismo e avidità

Le pagine di “Illusioni perdute” (titolo generale dei racconti della seconda parte della Commedia umana), quelle scelte dal regista Xavier Giannoli, ci appaiono tra le più riuscite tra le tante, tantissime, finite sullo schermo. Nella vasta opera di Honoré de Balzac hanno affondato le mani cinema, teatro, radio, fogliettoni televisivi o fumetti, con un’avidità spesso giustificata, ma così ampia da non essere sempre degna dei testi originali. La ressa di adattamenti che aveva alle spalle non ha turbato Xavier Giannoli nel fare il suo Balzac: uno squarcio riuscito della Restaurazione, del periodo successivo a Napoleone. Quando si scatena nella società francese la sfrenata danza delle ambizioni. Il regista si è ispirato in particolare a “Un grand’uomo di provincia a Parigi”, uno dei tre racconti che vanno appunto sotto il titolo generale “Illusioni perdute”. Quest’ultimo è anche il titolo del film in programma nei cinema francesi.

 

Balzac ha definito la stampa il “quarto potere” e nei suoi racconti e romanzi parla spesso di giornali e di giornalisti. Lui stesso, oltre alla estesa narrativa, si è dedicato alla politica con articoli, commenti polemici, anche dirigendo un giornale, e dedicandosi all’editoria. Attività che non migliorò le sue difficili condizioni finanziarie, nonostante il successo dei libri e degli articoli ben pagati. Balzac descriveva spesso il suo tempo (la prima metà dell’Ottocento), ne era talmente preso che quando incontrò Alessandro Manzoni pare non abbia nascosto un certo disinteresse per uno scrittore che aveva ambientato il suo romanzo in secoli passati, che non l’avevano coinvolto.

 

Lucien de Rubempré, il giovane protagonista di “Illusioni perdute”, rivela l’esperienza dell’autore nel dominio della stampa in quegli agitati anni postnapoleonici. Lucien è un giovane poeta nato nella provincia francese, ad Angoulême, che “sale a Parigi” per appagare le sue ambizioni letterarie e per inseguire un amore. È ben presto inghiottito dalla società che dopo le guerre, le conquiste e le disfatte di Napoleone è attratta, sedotta, dal nuovo mondo dominato dal denaro, dal profitto, dalla speculazione, dalla pubblicità. E la stampa riflette, con euforia, vizi e virtù. I nobili ideali che animano Lucien de Rubempré alla partenza da Angoulême sono presto dimenticati dopo un breve soggiorno a Parigi, dove tutto si vende e si compra. Archiviata l’onesta aspirazione iniziale del poeta, il nuovo cittadino della capitale cerca un riconoscimento immediato dei suoi innegabili talenti scrivendo articoli sferzanti o scandalistici, dettati dall’opportunismo e dal desiderio di una popolarità che implichi anche generosi guadagni.

 

Ma, pur dotato di un’intelligenza acuta e di un talento devastatore, Lucien sciupa il rapido successo iniziale e paga la sua arroganza che non gli viene perdonata dai vecchi e nuovi amici: i primi si sentono traditi, gli altri sono infedeli e invidiosi per natura. Balzac descrive la decadenza degli antichi valori e l’avvento aggressivo della legge del profitto e del cinismo. Sottolinea il potere della stampa e la violenza della critica, che slitta nella diffamazione. Il regista di “Illusioni perdute”, nel descrivere le gazzette dei tempi di Lucien de Rubempré (e dello stesso Balzac), sembra trovare un’affinità tra i media del ventunesimo secolo e quelli del diciannovesimo. È l’interpretazione del quotidiano comunista parigino L’Humanité e anche quella di altri giornali, tutti entusiasti del film. C’è addirittura chi trova somiglianze tra gli attori e alcuni personaggi della nostra società. Uno, e molto balzacchiano, lo crea addirittura il regista: è il capo della claque, colui che decide le sorti degli spettacoli in scena dei quali la stampa renderà conto.

 

Per le sue sferzanti verità, la pubblicazione di “Illusioni perdute” provocò la reazione di non pochi giornali dell’epoca che lo giudicarono un libro «senza stile, senza merito e senza talento», ricorda Le Monde. Il quale, oggi, come la maggioranza dei quotidiani francesi non nasconde la sua ammirazione per il film di Giannoli, come già per l’opera letteraria. La conclusione è che Balzac sa essere attuale quasi due secoli dopo la sua morte (1850). 

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