Opinioni
dicembre, 2021

Con il decreto bavaglio di Marta Cartabia si cancella la realtà

Fatti rilevanti per il pubblico rischiano di restare sconosciuti. E oggi non sapremmo nulla sulla morte di David Rossi, su Antonveneta strapagata da Mps, dei traffici leghisti all’hotel Metropol di Mosca;o della Fondazione Open

Il più sollecito nel tradurre in direttive stringenti la legge 188, che già molti chiamano “decreto bavaglio”, è stato il capo della Procura di Tivoli. Il 13 dicembre, con rapidità degna di miglior causa, il dottor Francesco Menditto ha trasmesso a magistrati, polizia, carabinieri e finanza un ukase in cui spiccano due principi. Il primo: «È rimesso al Procuratore della Repubblica l’individuazione di quali informazioni rendere»; il secondo: «La valutazione dell’interesse pubblico delle informazioni è di competenza del Procuratore». Amen.

 

Pochi giorni dopo, l’Associazione stampa romana ha denunciato che alcuni cronisti, venuti a conoscenza di una triste vicenda – una donna sfregiata dall’acido – si sono trovati dinanzi a un muro: la polizia si è limitata a confermare che il fatto era avvenuto, e basta, né nomi né particolari né moventi: «Con le nuove disposizioni non possiamo dire più niente». Se i primi effetti sono questi…

 

Il fatto è che, specie quando si parla di giustizia, magari si parte da buone intenzioni, poi arrivano una legge, la sua interpretazione e infine la sua applicazione. Il decreto 188, in vigore dal 14 dicembre, per esempio, è la traduzione italiana di una direttiva europea nata anni fa da nobili fini e da un’emergenza: l’arresto in Turchia di Osman Kavala – patron di Anadolu Kültür, organizzazione che si batte per i diritti umani – dopo un processo burla e una lunga detenzione preventiva in cui la presunzione di innocenza era andata a farsi benedire. Sorte toccata a molti altri intellettuali, giornalisti, accademici turchi.

 

Ma nel caso italiano si va molto oltre la presunzione di innocenza, che peraltro già la Costituzione tutela: sarà infatti il capo della Procura a decidere se e quali informazioni dare (anche dalla polizia giudiziaria), e solo attraverso comunicati ufficiali o in conferenza stampa; nel formulare le accuse, inoltre, i pm dovranno «limitare i riferimenti alla colpevolezza alle sole indicazioni necessarie a soddisfare (…) le condizioni richieste dalla legge». Accennare e sopire, burocratese e mezze verità, Gogol e Pravda. E sanzioni penali e disciplinari per chi sgarra, pm o giornalisti. Per darne notizia non basterà più che gli atti d’indagine siano depositati, cioè pubblici e disponibili: la decisione sarà via via del capo della Procura, fino a conclusione dei processi.

 

Insomma, a prendere alla lettera la 188, per anni i cittadini saprebbero poco e niente sulla morte di David Rossi o sull’Antonveneta strapagata da Mps; della notte brava di Grillo jr. & C. o delle commistioni ‘ndrangheta-sanità lombarda; dell’inchiesta sulle mascherine anti Covid-19 fasulle o dei traffici leghisti all’hotel Metropol di Mosca; delle responsabilità legate alle centinaia di incidenti sul lavoro o di cosa si nasconda dietro il paravento della renziana Fondazione Open; dell’avvocato Amara e della loggia Ungheria o delle spese pazze della Lega alla Regione Liguria.

 

Un rispettoso dico e non dico sarebbe calato ieri sugli affari, le tangenti, gli svaghi di Berlusconi, l’autorevole candidato alla presidenza della Repubblica, e calerebbe oggi sui processi ancora aperti (per le escort a Bari, per la mafia a Firenze). Avremmo ricevuto brandelli del caso Moro, delle stragi di Stato, dei grandi processi di mafia, di Ustica, del crac Parmalat, degli affari della Banca popolare di Vicenza, del terrorismo rosso, nero e palestinese, degli attentati dell’Isis, delle violenze sessuali, dei sequestri di persona…

 

Dalla presunzione di innocenza alla cancellazione della realtà. Più di una volta questo giornale è finito in tribunale per le sue inchieste e rivelazioni, ma ne è sempre uscito assolto in nome del diritto di cronaca. Che adesso rischia di sparire sepolto dalla burocrazia, dalla discrezionalità delle Procure, dalle pressioni di politici o lobby. C’era una volta l’art. 21 della Costituzione.

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