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Opinioni
luglio, 2021

Se il calcio scatena la violenza di branco

Il tifo può esaltare la “mascolinità performativa”. Quel comportamento che porta alla sopraffazione sui più deboli e al disprezzo per le regole

Nei giorni intorno alla finale degli europei di calcio su molte bacheche dei social network è comparsa un’immagine che riportava il volto di una donna in penombra e la scritta: «Nessuno più delle donne inglesi vuole che l’Inghilterra vinca». La ragione non riguarda la passione femminile per il calcio, ma uno studio dell’Università di Lancaster, dal quale emerge che gli abusi domestici segnalati nel Regno Unito durante i Mondiali del 2002, 2006 e 2010 sono aumentati del 38% nei giorni in cui l’Inghilterra è stata sconfitta, perché gli uomini inglesi sfogavano la loro frustrazione sulle mogli e le compagne.


In Italia non esistono studi statistici così chirurgici sulla correlazione tra tifo sportivo e violenza, domestica e no, ma - dai dopo partita dei quarti di finale fino alla vittoria degli europei - abbiamo visto on line abbastanza video degli eccessi di piazza da poter supporre facilmente che eventuali ricerche darebbero risultati non troppo diversi da quelli del Regno Unito. Nelle strade italiane, attraversate dai cori dei festanti, è valsa una specie di zona franca dai limiti, un liberi-tutti dove hanno trovato posto molestie alle donne, percosse ai passanti, distruzione di beni privati e pubblici e risse di massa.
Sarebbe molto facile prendersela col modo del tutto peculiare in cui il calcio infiamma gli animi e liquidare il tutto come tifo deviato, ma questa particolare specie di violenza - che gode di molta indulgenza sociale - ha un altro nome: si chiama mascolinità performativa e nelle polarizzazioni del tifo sportivo trova solo un altro dei suoi molti contesti d’espressione.

La mascolinità performativa è il comportamento con cui alcuni uomini cercano di dimostrare la massima aderenza possibile a quelli che presuppongono essere i parametri della virilità nel loro contesto sociale. Nel linguaggio popolare questo comportamento è sintetizzato dalla colorita espressione “giocare a chi ce l’ha più lungo”, dove l’organo genitale maschile diventa metafora e parametro dell’idea di potenza che si spera di ispirare. La mascolinità performativa può essere anche agita individualmente, ma dà il suo massimo in gruppo, quando la compresenza diventa un moltiplicatore esponenziale. In quei contesti, se la situazione è adrenalinica come potrebbe esserlo l’assistere insieme a una partita di calcio, i comportamenti tendono a sfociare nella loro caricatura: la spinta alla competitività diventa rifiuto della sconfitta, l’avversario diviene un nemico, la vittoria si volta in supremazia sul debole, il coraggio in disprezzo delle regole, la forza in violenza e lo spirito di gruppo dà vita ad azioni di branco.


Lo schema comportamentale della mascolinità performativa è lo stesso che spinge uomini individualmente miti a prendere parte ad azioni violente e illegali in tutti i contesti, dal bullismo di branco allo stupro di gruppo, dal catcalling collettivo al vandalismo sulle cose.

Il sociologo e psicanalista Luigi Zoja ha analizzato alcuni aspetti di questo fenomeno, specialmente quelli correlati alla violenza sessuale, e li ha riuniti sotto il nome di “centaurismo”, sul calco del comportamento delle figure mitologiche dei centauri, che agivano selvaggiamente in gruppo la violenza come forma di affermazione. L’antropologo Marc Augè - in un saggio breve e godibile intitolato “Football, il calcio come fenomeno religioso ”(Edb) - si è invece concentrato sulla ritualità del calcio, che con le sue liturgie codificate si presta facilmente, come tutte le religioni, a dare ospitalità e talvolta anche alibi alle peggiori energie distruttive. Non sono quindi tifosi quelli che nei dopo partita abbiamo visto divellere i semafori, palpare il corpo di qualunque donna a portata di mano, picchiare persone di etnia o nazionalità diversa o assalire un rider che faceva il suo lavoro: sono uomini convinti che la mascolinità, per essere autentica, debba sempre sottintendere la possibilità della violenza del forte su chi è percepito come più debole. Nessunə si stupisca se, fuori o dentro i margini del calcio, ogni tanto la possibilità si trasforma in certezza.

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