Dopo le vittorie ucraine sul terreno, per il leader del Cremlino è ancora più problematica l’insubordinazione della sua popolazione

La fuga dei russi è la sconfitta più preoccupante per Vladimir Putin

Si tratta di un’operazione militare speciale. Niente di più. I dirigenti russi hanno battezzato (e declassato) così, fino a poco tempo fa, l’invasione dell’Ucraina indisciplinata, ribelle. Adesso, peggiorando la situazione, è diventata anche per loro, i russi, una guerra. Prima non meritava quel titolo. Ma l’espressione resta comunque sottintesa. Se ne riconosce la natura, ma non si pronuncia ancora la parola.

 

Di fatto Vladimir Putin ha accettato l’idea che è in corso una guerra, ma senza definirla tale. La grande Russia non può essere in guerra con una provincia insubordinata, al massimo può promuovere una semplice “operazione”. Adesso è difficile negare che l’intervento in Ucraina sia una guerra, come la chiama il resto del mondo. Oltre alle distruzioni e ai morti, ha isolato l’invasore, che è una potenza, non una contrada qualsiasi. Come numerosi paesi dell’Onu, i grandi asiatici, la Cina e l’India, in questa occasione hanno evitato di dichiararsi apertamente favorevoli a Mosca, pur essendo spesso al suo fianco.

 

Nel discorso tenuto nella Sala di San Giorgio del Cremlino il 30 settembre in occasione della solenne cerimonia di annessione alla Russia delle quattro regioni ucraine (Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhya e Kherson), nelle parole di Putin, il confronto con l’Ucraina è con un nemico malefico, un ribelle, un traditore che non merita il rispetto delle regole internazionali. Lo zar dei nostri giorni ha fatto della nazione invasa una tenzone con l’Occidente, autore dei soprusi inflitti nei secoli alla Russia e ai Paesi poveri oggi definiti del terzo mondo. Una situazione che potrebbe giustificare l’impiego dei mezzi tattici nucleari.

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Ma l’Ucraina è stata evocata soltanto all’avvio dell’intervento del capo della Federazione russa nella Sala di San Giorgio: l’argomento principale è stato l’Occidente, sono stati gli Stati Uniti, l’Europa e i Paesi loro alleati. E come tali subordinati. Il discorso del 30 settembre non ha rivelato i pensieri di Putin, li ha confermati. È stata una requisitoria che nell’insieme esprimeva un conflitto per ora armato soltanto in Ucraina, ma suscettibile di sviluppi, anche nucleari.

 

Il capo del Cremlino appoggia il suo potere sul vecchio Kgb sovietico ribattezzato e ampliato. È l’organismo, la fortezza senza rivali nel Paese. La sua carriera Putin l’ha fatta lì. Le odierne angosce della Russia non sembrano esprimere oppositori validi. Si tende piuttosto a pensare, se ci saranno, a mutamenti all’interno dell’attuale potere. Per ora, tuttavia, nonostante le fughe in massa all’estero per evitare il servizio militare, le televisioni hanno parlato di una “felicità” che regna nel Paese. Una felicità simile a quella che suscitò l’annessione della Crimea.

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Mentre il suo esercito in Ucraina incassa sconfitte una dopo l’altra, e non ha neppure osato assediare Kiev quando i carri armati russi erano alle porte, né controlla del tutto le regioni che si è annesso, con il solenne intervento al Cremlino Putin ha taciuto insuccessi reali e celebrato successi immaginari.

 

Le sue parole risuonavano nel Paese e nello stesso momento decine di migliaia di automobili, in gran parte occupate da giovani russi decisi a evitare la chiamata alle armi (trecentomila forse più sono stati destinati a rafforzare il malandato corpo di spedizione in Ucraina), sostavano ai confini con i Paesi limitrofi, sempre meno disposti ad accoglierli.

 

Le code alle frontiere hanno rivelato quanto la decisione di rafforzare il corpo di spedizione in Ucraina abbia turbato la società russa. Era un chiaro segnale che la guerra in corso era destinata a durare, a crescere. E non escludeva una sconfitta russa. La grande cerimonia a Mosca per festeggiare l’acquisto forzato delle quattro regioni, non ancora del tutto controllate, e per contenere l’espandersi del malcontento con richiami patriottici, ha avuto il chiaro obiettivo di risvegliare la disciplina nella popolazione, in vista di un’operazione che si annuncia più lunga e difficile del previsto.

 

Putin pensava che il recupero dell’Ucraina sarebbe stato come l’annessione della Crimea. I suggerimenti del Kgb facevano pensare che la popolazione ucraina sarebbe stata più favorevole a un ritorno alla “madre” Russia. Ma le previsioni dei servizi di informazione non sempre si realizzano. Un segnale preoccupante per Putin è che il conflitto ucraino provoca vampate di insubordinazione nella patria dell’aggressore. La sua.

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