Ora ci battiamo contro la politica della destra che respinge gli immigrati, dimenticando la schifezza degli accordi con la Guardia costiera libica. E una parte del Decreto contro i rave era già in vigore da marzo scorso

Un fantasma agita i sonni dell’Europa “progressista” (l’ottocentesca fede nel mito del progresso sembra la sola rimasta a ex-socialisti, ex-liberali, ex-cattolici popolari): la crescita delle “destre”. “Destre” che si cerca disperatamente di far rientrare in parole-chiave, sorta di passe-partout: populismo, nazionalismo, sovranismo, indifferenza o peggio per i “diritti umani”.

 

Come se le metamorfosi attraversate dalle antiche “sinistre” potessero non aver conosciuto un analogo processo nell’area del “nemico”.

 

Si tratta in entrambi i casi di mutamenti strutturali; i motivi tattici, le “simulazioni”, non fanno che da contorno. La realtà è una perdita di identità culturale di tutte le nostre forze politiche, che si traduce nel crescente confondersi dei programmi e dello stesso linguaggio. Un universale “imborghesimento”, nel senso opposto in cui forse, prima delle catastrofi del Novecento, poteva essere usato il termine Borghese: non ricerca di una conciliazione tra spirito del capitalismo e Umanesimo, ma rincorsa ad assicurarsi il Centro; non rivendicazione di un Politico autonomo dotato di competenza e responsabilità, ma ossequio pregiudiziale e subalterno alle potenze dominanti, Tecnica ed Economia.

 

Sulle ragioni del successo delle “destre”, dalle più innocue scandinave a quelle più pericolose di Israele, che renderanno impossibile ogni accordo con la Palestina, basta dare un’occhiata alla carta geografica e constatare la distribuzione del voto. Altro che nostalgia per ideologie novecentesche!

 

Dal Nord, all’Est, da Ghibellini a Guelfi sono le periferie, i ghetti, le aree di maggior disagio, le campagne più povere dell’Occidente dove le “destre” si affermano ( o “populismi” vari che i “progressisti” tendono inarrestabilmente a equiparare a esse). Sono i territori fuori dalle “mura” metropolitane, espulsi dal relativo benessere ancora intra-moenia esistente, oppure le ex-capitali dell’operaio-massa, come Detroit, colpiti dagli effetti della globalizzazione non governata, subita, quando non esaltata, dalla politica. I territori di una nuova plebe senza tribuni, sempre meno protetta dall’intervento pubblico, nei quali dilegua l’idea stessa dello Stato sociale. Qui è la frontiera per i “progressisti”: o si mostreranno in grado di affrontare il proliferare di intollerabili disuguaglianze o spariranno da ogni orizzonte.

 

E prima di parlare di diritti e di proclamarsene paladini facciano anche qui qualche rapido esame di coscienza. L’esempio ci è offerto dal recente Decreto che subordina a una gravissima serie di condizioni la possibilità di fruire di permessi o misure alternative alla pena per i responsabili di reati ostativi. L’occasione ghiotta per le “destre”, da sempre a caccia di ben meritare a favore delle nostre domestiche paci, è stata data dal famoso rave party. Quando l’immagine è tutto: in certi servizi tv il capannone della festa incendiava la notte come un girone infernale. Ebbene, senza dubbio questo decreto è un obbrobrio politico e giuridico - ma, di grazia, perché non ricordare che tutte le condizioni che esso pone nell’art.1 erano già presenti in quello approvato il 31 marzo scorso? Forse i “progressisti” a corrente alternata se lo sono dimenticato? E per questo polemizzano soltanto con l’art.5 del Decreto Meloni, cioè con la norma anti-rave? E ora che si riaccende l’attenzione sulla tragedia dei migranti ci batteremo contro le misure che le “destre” inventeranno, dimenticando la schifezza degli accordi con la Guardia costiera libica, a carico della quale pende una denuncia per crimini contro l’umanità?

 

La realtà, cari amici ed ex-compagni, è che da molti anni ci troviamo di fronte a una sistematica limitazione di diritti fondamentali, a uno sgretolamento dei principi su cui si sono rette le nostre democrazie. E che noi non solo non siamo riusciti a contrastarne la crisi, ma spesso e volentieri ne siamo stati, magari inconsapevolmente, artefici.