Ospitiamo meno immigrati degli altri, abbiamo il record del debito pubblico, avanziamo continue richieste di aiuto ma abbiamo un tenore di vita invidiabile. Il lungo elenco delle lamentele dei nostri alleati ci fornisce un punto di vista diverso

Dice il saggio che nei rapporti umani non conta solo ciò che sei, ma anche ciò che gli altri pensano di te. È così anche in politica. Specie nelle relazioni internazionali. Pregiudizi? Certo, non mancano, ma spesso si fondano su dati di fatto. E dunque se si vuole capire perché tanti in Europa giudichino poco affidabile l’Italia, e sia sempre così difficile muoversi a Bruxelles, e poi «i francesi che s’incazzano… che le balle ancor gli girano» (copyright Paolo Conte), sarebbe necessario non solo sbandierare l’orgoglio nazionale, ma prendere atto dei rimproveri che ci vengono da partner e alleati. Non per punirci, ma per rimediare. Segue breve elenco.

 

Della questione immigrati si è detto molto, e però: è vero che quest’anno sono stati accolti 90 mila uomini, donne e bambini in fuga da guerre, torture e miseria, e ben trattati come i francesi se lo sognano, ma è anche vero che una volta arrivati vanno altrove, in cerca di un lavoro che qui non c’è. Risultato, in rapporto alla popolazione l’Italia ospita oggi la metà degli immigrati dell’Austria, e molti meno di Grecia o Spagna. Le richieste d’asilo qui sono la metà che in Francia, un quarto che in Germania, e i rifugiati sono 130 mila, un paio di stadi di calcio: in Germania sono quattro volte tanto. Ce lo rinfacciano quando chiediamo aiuto agli altri; ce lo rinfacceranno presto ai prossimi tavoli di trattativa.

 

Un mio cugino tedesco, per esempio, ogni volta che gli parlo dei nostri guai, tira fuori il solito campionario. Mi ricorda che da anni l’Italia detiene il record del debito pubblico, che alle nostre spalle c’è un ventennio di crescita allo zero virgola; che però vantiamo il primo posto in Europa, contemporaneamente, sia per risparmio privato che per evasione fiscale, e nonostante questo il governo Meloni-Salvini pensa di premiare chi paga meno tasse (flat tax, contanti a go-go, riduzione d’imposte, condoni). Altissima è la spesa per le pensioni, il doppio della media Ocse. La giustizia è lenta o non funziona; la burocrazia è appesantita e frenata da leggi e regolamenti; la criminalità organizzata allunga i tentacoli sulle attività economiche e finanziarie allontanando gli investitori stranieri.

Sette-otto italiani su dieci denunciano al fisco una casa di proprietà, a volte più di una, ma su questa pagano meno tasse di altri, per esempio la metà dei francesi, e non solo perché la prima casa è esentasse, ma per via dei valori catastali spesso irrisori pure per appartamenti ampi e costosi nel centro storico delle città.

 

Non basta. Il Pnrr, Piano Marshall degli anni Duemila, ha concesso all’Italia più soldi che a tutti gli altri, 122 miliardi e mezzo in prestito più 69 a fondo perduto. Ma in cambio Bruxelles ha chiesto di approvare finalmente un pacchetto di riforme utili a svecchiare, innovare, migliorare un sistema per molti versi bloccato. Eppure, i primi messaggi del nuovo governo sono andati in direzione ostinata e contraria: al suo esordio, Meloni ha cassato la norma che apriva la concorrenza tra taxi, cincischiato sulle concessioni balneari, dimenticato la revisione del catasto, rimandato la riforma della giustizia firmata da Marta Cartabia.

 

Siete sempre gli stessi, commenta l’implacabile cugino. Ora, per carità, si può anche arrivare alla conclusione che ci sta bene così, che questo è il migliore dei mondi e che proprio quelli che gli altri giudicano limiti e difetti hanno garantito alla maggior parte degli italiani la migliore vita possibile. E vabbè, però almeno non dovremmo far finta di non capire perché in Europa, parafrasando Luca Ricolfi, «siamo antipatici».