Prima ancora di cambiare le leggi è sufficiente parlare dei vaccini non obbligatori, di alzare il limite al contante o della 194 per far capire a chi di dovere che il clima è cambiato

A volte basta un accenno, un annuncio, un segnale. È bastato per esempio che Ignazio La Russa si dichiarasse anti-antifascista - «Il 25 aprile non sfilerò, i cortei sono appannaggio di una certa sinistra» - perché centinaia di camicie nere si sentissero autorizzate a stendere il braccio dinanzi alla cripta Mussolini a Predappio. Si lancia la bottiglia in mare, chi la raccoglie legge il messaggio e si mette in moto. In questo brilla il governo Meloni, forse per seminare indizi identitari, o per la consapevolezza di poter più promettere che fare, o per preparare il terreno alla legge che verrà, come per il pericoloso comma anti raduni, o per la convinzione che, appunto, basta indicare una strada perché qualcosa accada.

 

L’elenco degli avvisi ai naviganti è lungo. Sull’aborto, per esempio, metafora della libertà di scelta individuale, Meloni ha insistito sulla prevenzione (senza però dire cosa farà) ed equiparato il diritto delle donne di abortire a quello dei medici di obiettare. Diritti già oggi garantiti, e ci mancherebbe, tanto che gli obiettori (il 65 per cento dei ginecologi) sono spesso un ostacolo all’applicazione della legge 194. Insistere non sulle ragioni del sì ma su quelle del no spinge inevitabilmente a spostare equilibri delicati. Senza bisogno di toccare la legge. Come non c’era alcuna necessità di parlarne - la percentuale di aborti in Italia è tra le più basse d’Europa - se non per dare un segnale, appunto.

 

Così per il Covid. La decisione del governo di istituzionalizzare la dottrina no vax cancellando l’obbligo di vaccinazione è stata non solo annunciata a più riprese, ma nei messaggi perfino ingigantita fino a diventare un manifesto del liberi tutti e da tutto, anche dalle mascherine e dalle sanzioni per chi disobbedisce. Un messaggio è celato anche in quella decisione di aggiungere la missione del Merito al ministero dell’Istruzione. Senza entrare, come dire?, nel merito del Merito (dei professori, degli studenti, del ministro?) e dei mezzi con i quali si intende difenderlo (non se ne sa nulla), basta cogliere il segnale: Merito è stato accorpato non all’Università e alla Ricerca, ma a quella che era la Pubblica Istruzione, quella del diritto garantito per tutti dalla Costituzione, quella della scuola dell’obbligo. Dell’inclusione. Si cambia.

 

Càpita poi che i segnali finiscano per contraddirsi. «Merito e uguaglianza non sono nemici, sono uno fratello dell’altra», ha detto Meloni. Ma i messaggi in materia fiscale vanno in direzione opposta. Qui Giorgia & C. hanno dato il meglio di sé, in una sequenza mirabolante di annunci: sale il tetto al contante, sale il fatturato da lavoro autonomo soggetto a tassazione forfettaria (e lavoratori dipendenti e pensionati? Alla faccia dell’uguaglianza!), scompare l’obbligo del Pos, arriveranno la pace fiscale e magari i condoni. Non è importante che ora seguano i relativi provvedimenti, il messaggio è già arrivato: l’evasore non sarà punito né inseguito.

 

Forse Meloni ha bisogno di mostrare la carta d’identità ai suoi seguaci ora che per qualche mese non potrà che seguire l’odiata agenda Draghi. Ai suoi deve dire per esempio che a Bruxelles batterà il pugno sul tavolo per rinegoziare parti del Pnrr, insomma per avere più soldi, ma sa che è pressocché impossibile, che sarebbero a rischio i finanziamenti programmati, che a quell’accordo, un Piano Marshall degli anni Duemila, è legata ora come fu allora la possibilità di cambiare, migliorare, modernizzare l’Italia. Se vorrà farlo, Giorgia dovrà mettere da parte gli annunci e sciogliere le sue contraddizioni. Auguri.