«Non possiamo pagare le bollette, non vogliamo pagare le vostre guerre, non pagheremo la vostra crisi». Così recita lo slogan del movimento “Noi non paghiamo”: il 30 novembre ha concluso la campagna che aveva l’obiettivo di raggiungere un milione di adesioni per uno sciopero delle bollette abbastanza significativo da indurre le società energetiche e il governo ad agire contro il caro bollette.
Nonostante la campagna non sia riuscita a raggiungere l’obiettivo, è riuscita a rafforzare una narrazione importante: intanto esplicitando gli spaventosi numeri della crisi. In Italia quasi 5 milioni di persone non sono riuscite a pagare le bollette, 3 milioni in più dell’anno precedente. Da dicembre “Noi non paghiamo” si è allargata a tutti i temi del carovita: non solo le bollette, ma la spesa alimentare, la scuola, la sanità, la casa.
La campagna si ispira all’inglese “Don’t pay,” nata nella primavera del 2022 con analoghe motivazioni e importanti successi sebbene lenti. D’altronde, come tutti i movimenti strutturali pretende, per arrivare a smantellare i cardini, tempi lunghi e ponderati. Le fiere nell’arena non sono certo innocue: sono le multinazionali, come Shell, BP, TotalEnergies, Equinor ed Eni, che nel secondo trimestre del 2022 hanno visto profitti di oltre 37 miliardi di dollari. Profitti che derivano anche dalla speculazione sui prezzi energetici.
Il carovita quindi, va esplicitato con molta chiarezza, nasce da quanti traggono profitti dalla guerra e dalla crisi energetica, crisi che loro stessi hanno contribuito ad alimentare. Una ricchezza che deriva dalla distruzione del pianeta, dalle crisi autoalimentate, dalle guerre narrate in un certo modo, dall’utilizzo di risorse nocive. Sono ricchezze legate a doppio filo con la speculazione sugli affitti e sugli spazi pubblici. Il movimento “Noi non paghiamo” si muove tra le piazze e le vie d’Italia tracciando i legami tra sopravvivenza, morale e scelta e rivendica l’accesso all’energia come bene essenziale. A chi aderisce si chiede di autoridursi o sospendere il pagamento delle bollette.
Nel suo libro del 2007, “Shock Economy”, Noemi Klein sviluppa il concetto di «capitalismo dei disastri» (Disaster capitalism). Il termine è definito da due caratteristiche interconnesse:
1. I disastri e le crisi vengono sfruttati come opportunità di profitto;
2. La risposta ai disastri e alla crisi viene sfruttata per espandere il libero mercato e altre condizioni di guadagno finanziario privato.
Il «capitalismo dei disastri» è la cornice principale attraverso la quale gli attori influenti all’interno del sistema capitalistico rispondono alle crisi, ai disastri e alle catastrofi.
Questo processo non solo è moralmente riprovevole, ma ci permette di identificare e comprendere come il capitalismo riproduca le condizioni per la propria espansione in mezzo ai disastri e alle crisi croniche che esso stesso ha creato. Il capitalismo dei disastri, come il serpente che si morde o inghiotte la sua coda, l’uroboro, esemplifica bene questo movimento: fagocita tutto e pure se stesso, all’infinito. Certo, solo finché non gli si taglia la testa.