Condoni, già fatti o annunciati. Limiti al Pos (che poi saltano). Contante. Con le nuove misure del governo si conferma che in Italia non pagare le tasse conviene

E però quando si tratta di tasse e di evasori, ma guarda un po’, Giorgia Meloni dimentica l’agenda Draghi, pur invocata per giustificare prudenza nei conti o assolversi dai ritardi del Pnrr. Succede con la manovra di bilancio in corso, e toccando due moloch del contribuente poco fedele: le cartelle esattoriali e il Pos. Un ampio condono per le prime - se non avete pagato siete perdonati - e un notevole alleggerimento per il secondo, proprio ora che si fanno più stringenti i controlli del fisco. Come ha fatto? Attenzione ai dettagli.

 

Le cartelle esattoriali, cioè le notifiche di pagamento per tasse e contributi evasi dagli italiani, e ormai dovuti al termine di un’estenuante procedura di ricorsi e contenziosi, sono una montagna e un tesoro: 137 milioni di cartelle, per un totale di 1200 miliardi di euro, spicciolo più spicciolo meno, accumulati in vent’anni da 18 milioni di morosi. Uno ogni tre italiani, bambini compresi: è come se in ogni famiglia si nascondesse un evasore, o comunque uno che deve soldi allo Stato, cioè alla sanità, alla scuola, alle pensioni di tutti.

 

L’Agenzia della Riscossione, che affianca quella delle Entrate, fatica assai a smaltire questa caterva di carte e a incassare ciò che le è dovuto. E così, ogni tanto, il governo che fa? Rottama, cioè rinuncia a una bella fetta di quei crediti: alleggerisce il fisco, sì, ma soprattutto fa un regalone ai furbi che non hanno pagato tasse, contravvenzioni, contributi, imposte. Negli anni passati, per esempio, a furia di doni e regalìe, da quella montagna sono stati spalati 300 miliardi. Un Pnrr e mezzo.

 

Anche Draghi si apprestava a fare qualcosa di simile, ma in modo ben diverso da come lo sta facendo Meloni. Draghi prevedeva di stralciare le cartelle del periodo 2000-2010 inferiori ai 5mila euro purché riguardassero cittadini e imprese con un reddito inferiore ai 30mila euro. A tutela di chi è più in difficoltà. Con Meloni le cose cambiano, si arriva fino al 2015 e sotto i 1000 euro, ma il limite di reddito non c’è più. Che il moroso sia un Gennaro Esposito o un Elon Musk fa lo stesso. E così lo Stato dice addio a 415 miliardi. Due Pnrr. Non solo. Chi dopo il 2015 avesse accumulato debiti superiori ai 1000 euro può pagare il dovuto senza sanzioni né interessi e in cinque comode rate annuali. Con l’inflazione è un doppio regalo.

 

Intendiamoci, buona parte di quei crediti lo Stato non sarebbe mai riuscito a incassarli. Perché? Le risposte sono in un dettagliatissimo rapporto inviato un anno e mezzo fa al Parlamento dal ministro dell’Economia Daniele Franco e lì dimenticato. Proviamo a riassumere.

 

Fino al 2006 a occuparsi di quel tesoro erano una trentina di privati, per lo più banche; poi è subentrata Equitalia e, infine, dal 2017 l’Agenzia della Riscossione, ramo distaccato dell’Agenzia delle Entrate. Le cose, certo, sono migliorate. Se i privati portavano a casa tre miliardi l’anno ed Equitalia sette e mezzo, la Riscossione ha superato gli undici: dialogo più stretto con le Entrate (non sarebbe meglio unificare le due Agenzie?), migliore organizzazione e, finalmente, la possibilità - concessa dal governo Draghi pur se con limiti e garanzie - di incrociare le informazioni delle banche-dati fino ad allora vietate dal Garante della privacy. E però se ogni anno si recuperano undici miliardi, ecco che arrivano cartelle da smaltire per altri 70-80 da enti associazioni Comuni Regioni Casse di previdenza che un tempo si affidavano ai privati.

 

Alcune norme, studiate a garanzia del contribuente quando la gestione era privata, andrebbero aggiornate. Oggi la procedura è lenta e macchinosa, è difficile cancellare crediti inesigibili (per vecchiaia, decessi, fallimenti, nullatenenti) e le armi a disposizione del fisco sono spuntate. Esempi? Se un anno dopo la notifica il pagamento non c’è stato, bisogna rifare l’iter daccapo; gli eventuali pignoramenti, poi, si decidono al buio: a febbraio-marzo di ogni anno le banche consegnano all’Agenzia una fotografia dei conti correnti (il dato riguarda la giacenza media) fino al 31 dicembre dell’anno prima, così quando il fisco si muove quel conto può essere ormai vuoto.

 

E se i soldi ci fossero? Se sono proventi da lavoro, non si possono toccare. In caso di crediti ingenti una banca può rivalersi sulla prima casa, lo Stato no. Per non dire dei ricorsi e dei tempi della giustizia. Al resto pensa la prescrizione. Quasi sempre, ci mancherebbe, si tratta di norme studiate a difesa del cittadino in difficoltà, ma si applicano a tutti: procedure, norme e poteri sono le stesse per un debito da 100 o 100mila euro, maturato ieri o vent’anni fa. A discapito di efficienza e risultati. E a vantaggio dei soliti furbetti. Che brillano anche nella incredibile saga del Pos. Eccola.

 

A introdurre il pagamento elettronico è Mario Monti nel 2012, ma a partire dal 2014, e senza obbligo né sanzioni: al loro buon cuore. Ci riprova il governo Letta ed è il ministro Zanonato, Pd, a fissare per la prima volta un tetto minimo di 30 euro. E le sanzioni? Dimenticate. Allora tocca al governo Renzi, 2015, ma il Consiglio di Stato lo ferma: un decreto ministeriale non basta, occorre una legge. Che però non si fa. Nel 2019 arrivano i giallorossi di Conte e propongono sanzioni: ma chi si oppone? I Cinque Stelle. Onestà-tà-tà.

 

Alla fine, 2022, è Draghi a imporre e obbligo e sanzioni. Però manca ancora un tassello. La macchinetta si limita a segnalare alla banca l’arrivo di un bonifico e non sempre c’è una ricevuta fiscale a dimostrarlo. Così era stato deciso che anche il Pos trasmettesse notizia dei pagamenti al fisco come già avviene con quelli registrati da una cassa elettronica. In tal modo sarebbe possibile incrociare i dati e verificare che al fatturato complessivo corrispondano altrettanti scontrini fiscali. Data fissata per questa piccola rivoluzione, rinvio dopo rinvio, il 30 novembre scorso. Ma nel frattempo al governo sono arrivati Meloni & C. e il tetto minimo per i pagamenti con il Pos è diventato un grande problema…

 

La Banca d’Italia ha criticato i troppi “segnali” del governo Meloni che rischiano di incoraggiare l’evasione. Troppi: condoni (fatti e annuciati); Pos limitato; contante più libero; flat tax più generosa (15 per cento) per le partite Iva; aliquota fiscale dimezzata sugli utili maturati dalle aziende all’estero; aliquota ridotta dal 26 al 14 per cento sulle plusvalenze in caso di vendita di fondi e polizze… Mentre si ciancia di poveri e disuguaglianze, il reddito dichiarato al fisco è in media di 21mila euro e 5 milioni di italiani, il 13 per cento dei contribuenti, quasi tutti pensionati e lavoratori dipendenti, versano il 60 per cento dell’Irpef totale. Per le tasse una volta si facevano le rivoluzioni, oggi è più semplice non pagarle. Chi può.